Migliora la donna violentata nella cabina. Como non la accoglie, andrà a Montano

Il caso Dimissioni rinviate per un nuovo intervento alla spalla, ma a giorni lascerà l’ospedale - Fino a qualche anno fa viveva con un compagno: finì in mezzo alla strada dopo la morte di lui

Como

Dovrà essere sottoposta a un nuovo intervento alla spalla la donna bulgara di 58 anni vittima dell’orrenda violenza sessuale consumata la sera del 5 agosto in una cabina telefonica di via Auguadri, accanto al tribunale, violenza per la quale era stato poi arrestato il pakistano Ghulam Shabbir Imran, 41 anni, fermato dai carabinieri in viale Varese pochi minuti dopo la mezzanotte.

Il nuovo intervento chirurgico comporta un rinvio delle dimissioni della donna, le cui condizioni sono comunque molto migliorate, quantomeno da un punto di vista fisico, benché lo choc sia probabilmente destinato a restare chissà per quanto. Quando uscirà dall’ospedale dovrà seguire un periodo di convalescenza in una struttura idonea ad accoglierla e ad accudirla, escluso, ovviamente, che possa tornare in mezzo a una strada.

La donna aveva avuto un compagno

Secondo quanto si è appreso, la soluzione al momento più percorribile è quella di un ricovero a Montano Lucino, al Cof, la Casa di orientamento femminile, i cui responsabili si sono resi disponibili dopo l’interessamento della Procura e dell’amministrazione del Comune in cui lei aveva risieduto fino a qualche anno fa. La storia è questa: prima di finire in mezzo a una strada, questa signora bulgara – madre di un figlio che vive all’estero – aveva convissuto per lunghi anni con un cittadino italiano in un Comune della provincia salvo poi ritrovarsi proprietaria di nulla il giorno sciagurato in cui il compagno mancò. Di quel Comune è preferibile non spendere il nome, per evitare di rendere lei riconoscibile (la tutela dell’identità è un obbligo di legge da rispettare per tutte le vittime di una violenza sessuale), ma a quanto pare gli amministratori si sarebbero mostrati disponibili a trovare una soluzione dopo che i servizi sociali del Comune capoluogo avevano chiuso la porta, trincerandosi dietro al fatto che non risultando lei residente non sarebbe stato possibile giustificare il pagamento delle spese per un’eventuale retta, non dovute per chi non risieda.

L’hanno salvata due profughe ucraine

Per quanto riguarda le indagini, ormai manca poco perché possano considerarsi concluse. I carabinieri della compagnia di Como, cui si devono sia l’arresto sia i successivi accertamenti – a partire da quelli eseguiti sui sistemi di videosorveglianza della zona – stanno anche cercando di tracciare i contorni di quella che alla fine potrebbe rivelarsi una rapina, visto che la signora ha anche denunciato la sparizione del suo borsellino, contenente un paio di centinaio di euro (in realtà, il principale indagato, al momento dell’arresto, non aveva né il borsellino né il denaro).

Insomma, c’è tanta voglia di chiarezza, di tirare le somme su un episodio di cui si è molto dibattuto, soprattutto alla luce di quanto si è visto nelle registrazioni degli impianti di videosorveglianza. Mentre quella povera donna subisce quel che subisce al chiuso della cabina, decine di passanti le sfilano accanto lungo il marciapiede senza accorgersi, o più probabilmente, chissà, semplicemente disinteressandosi, senza chiedere aiuto a chicchessia. Lo faranno, finalmente, due giovani donne straniere, due profughe ucraine, reduci dalla guerra, le uniche a intervenire per mettere fine a quell’orrore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA