Addio al procuratore Bodero Maccabeo: «Ogni mattina scegliete se essere uomini o caporali»

Il lutto Magistrato di lungo corso, presidente di corte d’Assise nei processi di mafia, guidò la procura lariana. Ieri mattina un malore improvviso, poi il decesso all’ospedale Sant’Anna. Aveva riposto la toga nel 2015

È mancato ieri pomeriggio all’ospedale Sant’Anna, dopo un ricovero di poche ore, l’ex procuratore della Repubblica di Como Giacomo Bodero Maccabeo, 83 anni, cinquanta dei quali trascorsi in magistratura, dalla Lombardia alla Sicilia fino al suo Piemonte, di dove era originario. Il decesso è conseguenza di un malore che lo ha colto in mattinata, tra le mura della casa comasca in cui abitava da quasi sempre, da quando, all’età di 6 anni aveva lasciato il Comune piemontese di Canelli per trasferirsi sul Lario.

Una lunga carriera

Ha avuto, Bodero, una carriera lunga e brillantissima, vissuta con una intraprendenza e uno spirito di servizio che lo hanno portato lontano: amò molto la Sicilia, in cui tra Caltanissetta, Gela e Trapani (con una parentesi da presidente di sezione penale a Locri) visse alcuni delle fasi più brillanti della sua parabola professionale. Da presidente di corte d’Assise giudicò gli imputati del cosiddetto “Borsellino ter” per la strage di via d’Amelio del luglio 1992 e quelli del processo per il fallito attentato all’Addaura, contro il giudice Falcone e contro alcuni magistrati svizzeri, tra i quali l’ex procuratrice del tribunale internazionale Carla Del Ponte.

Depose la toga nel 2015, da capo della Procura di Como, dove era tornato quattro anni prima chiudendo un cerchio aperto parecchio tempo addietro, con l’ingresso da praticante nello studio dell’avvocato Aristodemo Taroni nella seconda metà degli anni ’60, prima di scegliere l’altro lato della barricata: in città fu giudice istruttore fino al 1987, poi fu assegnato in corte d’Assise a Milano, dove fu relatore nel processo dei 127 della banda Epaminonda, prima di finire a Brescia e ancora a Tortona.

Di lui, a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, resteranno molte cose: senz’altro una luminosissima lezione sul senso del lavoro e del dovere, oltre che sul senso e sulla ragion d’essere di una comunità, di un consesso - sì, chiamiamolo pure Patria, senza retorica - che meritava e merita di essere servito al meglio, in ossequio a una fede incrollabile nel valore delle regole intese come chiave per il progresso. Per tutta la sua carriera, in tutti gli uffici che occupò tra Como e l’adorata Sicilia, Bodero tenne sempre in bella mostra due immagini: una era quella del capitano Bellodi interpretato da Franco Nero nella celebre trasposizione cinematografica de “Il giorno della civetta”; l’altra era un’immaginetta di Totò impegnato nell’interpretazione di Antonio La Trippa, uno dei suoi personaggi più riusciti. Ai “ragazzi” cui voleva bene, il procuratore li indicava sempre entrambi: «Ogni mattina - diceva -, quando vi alzate, potete scegliere in piena libertà se essere l’uno o l’altro. Se cioè essere uomini o caporali».

La lezione più preziosa

Ma sarà difficile dimenticare anche un’altra sua lezione, ugualmente preziosa: vale a dire che la vita è fatta soprattutto di passioni, rispetto alle quali il resto conta il giusto. Grande talento tennistico (avrebbe adorato un “coccodrillo” dedicato esclusivamente ai gesti bianchi e alle sue scarpette inzaccherate di terra rossa), rimpianse un po’ la rinuncia forzata al nostro “mestieraccio” di cronisti, cui si accostò per un tempo non breve frequentando da ragazzo la redazione de “L’Ordine”. Non sarà un caso che citasse tanto spesso anche Buzzati, l’amore grande e imprescindibile di tutti coloro che della passione per il giornalismo hanno fatto una ragione di vita: «Nel tempo immutabile ed eterno - ricordava -, ciascun uomo ha il suo tempo». Quello di Bodero si è compiuto. Ed è stato il tempo buono per il quale ha sempre vissuto.

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