Al Conservatorio di Como tantissimi studenti di canto asiatici: su 210 domande gli italiani sono tre, gli altri da Cina e Corea

Il caso I numeri delle domande di ammissione certificano una situazione sorprendente: «Senza i ragazzi orientali dovremmo chiudere, pesa la difficoltà a trovare lavoro»

Le stelle della lirica cinese e coreana crescono a Como e “salvano” i corsi del conservatorio.

Su 210 domande di ammissione, quest’anno, solo tre sono di studenti italiani: le altre 207 sono arrivate da ragazzi asiatici. Senza i quali, evidentemente, il Conservatorio non avrebbe i numeri per garantire alcune delle proprie attività.

Futuro incerto

Questo l’allarme lanciato da Paola Romanò, capo dipartimento di canto, preoccupata non solo per il presente, ma soprattutto per il futuro. «Si tratta di una questione generale che non riguarda solo Como - spiega - Quest’anno abbiamo avuto 210 domande, di queste tre da italiani. Tutti gli altri sono cinesi e coreani. È una difficoltà oggettiva: se non ci fossero loro, si chiuderebbero le classi di canto. Succede già da qualche anno, e ci sono considerazioni da fare. Perché gli italiani non sono interessati? Fondamentalmente perché, alla fine del ciclo di studi, non hanno sbocchi lavorativi. Abbiamo avuto molti allievi bravi che, una volta finito, non avevano la possibilità di lavorare. Avendo pochi fondi, ci sono meno spettacoli, recite, si fa poca musica. C’è lo sbocco del coro, ma è difficilissimo entrare e poi sono già strapieni o lavorano solo per stagioni che non sono stabili».

Anche dove ci fosse la passione, dunque, è difficile non tenere in considerazione il post laurea: un problema che, invece, i cinesi non hanno. Per loro l’Italia è il luogo ideale dove formarsi, per poi tornare in patria e sfruttare il titolo di studio. Nella maggior parte dei casi non tanto come cantanti, quanto come insegnanti.

«Per i ragazzi orientali la nostra formazione è fonte di lavoro – conferma ancora Romanò - Loro vengono qui, prendono una laurea italiana e con questa tornano in Cina a insegnare. Un altro aspetto da tenere in considerazione è il fatto che in Italia l’opera ormai è diventata di nicchia, non interessa più ai giovani. Quando ho iniziato io, negli anni gloriosi della lirica, mi ero iscritta perché volevo studiare la musica, ma all’inizio non avevo intenzione di fare lirica. Quando fui ammessa per canto, dissi che a me non piaceva. L’insegnante mi sorrise e disse di vedere come sarebbe andata e, infatti, mi ha appassionato. È come un morbo, quando ti attacca non ti lascia più, io poi ho fatto una discreta carriera. Mi sono resa conto che pensavo che non mi piacesse, solo perché non la conoscevo».

Formazione da bambini

Il problema oggi, probabilmente, è proprio questo: quanti bambini o ragazzi ascoltano musica lirica? Quanti vanno all’opera? Pochissimi, quasi nessuno, a meno che in famiglia non ci sia un appassionato. Un rimedio, suggerisce Romanò, potrebbe essere quello di proporre progetti di sensibilizzazione nelle scuole, avvicinare i giovani a un genere musicale che, molto probabilmente, non conoscono e che invece potrebbe far nascere una nuova passione.

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