Da Roma al Lario: Berlusconi e i processi infiniti del “caso Ariosto”

La storia Furono decine le udienze comasche a margine del lodo Mondadori e dopo il caso della teste Omega

Non furono tutte rose e scampagnate (come quelle, proverbiali e “romantiche”, al Baradello, sulle quali il cavaliere amava molto scherzare).

A Como e al lago sono legati anche alcuni momenti non felici della vita di Berlusconi, che per esempio intervenne nel 2012 in soccorso del fraterno amico Dell’Utri acquistando la sua Villa Comalcione a Torno, quando il senatore siciliano imboccava la china giudiziaria che lo avrebbe poi portato a scontare un po’ d’anni di carcere. È comasca – sia pure d’adozione - Stefania Ariosto, professione antiquario, negli anni della Milano da bere titolare di un celebre show room in via Montenapoleone in cui un giorno l’avvocato Vittorio Dotti, decise di acquistare un paio di cassettoni pagandoli con un assegno proveniente da un libretto riconducibile a Mondadori.

Il processo del secolo

Le verifiche che seguirono fecero di Stefania Ariosto la “teste Omega”, vale a dire la testimone chiave del processo per il lodo Mondadori che ai giudici milanesi raccontò di come i magistrati a capo della prima sezione civile del tribunale di Roma – quella che avrebbe dovuto esprimersi sul lodo – fossero in realtà amici intimi di Cesare Previsti, avvocato di Fininvest, e di quando ebbe modo di sentire quest’ultimo parlare di tangenti “erogate” a favore di giudici. Compagna a cavallo degli anni Ottanta e Novanta proprio di Dotti – che fu poi capogruppo di Forza Italia alla Camera – Stefania Ariosto finì per riempire anche le cronache dei giornali locali, reagendo alle numerosissime intemerate della claque dei berlusconiani doc, spesso accusati di averla diffamata. Centinaia furono le cause civili e penali promosse all’epoca la teste Omega, che in tribunale a Como trascinò da Vittorio Sgarbi al giornalista Paolo Liguori fino allo stesso Previti, salvo poi finirci lei stessa in veste di imputato per la bancarotta della sua immobiliare, la Profido srl.

Quando annunciò la scelta di rinunciare ai riti alternativi che la procedura le avrebbe potuto concedere, spiegò che la decisione era da ricondursi alla volontà di spiegare davanti ai giudici le ragioni per cui quella vicenda fosse stata, in realtà, la conseguenza di otto anni “bruciati” fuori e dentro dai tribunali partecipando a oltre 2.500 udienze senza avere margini né tempo per dedicarsi alla sua attività. Su quegli anni, su quell’epopea e su quelle udienze nelle piccole aule del tribunale di casa nostra non smise mai di aleggiare la figura del cavaliere, perfettamente accudita dalla claque dei suoi paladini,i quali, potendo, di Stefania Ariosto si sarebbero fatti volentieri un sol boccone: idolatrata dai nemici di Berlusconi che impiegarono un nonnulla a farne il vessillo dell’Italia degli onesti, assediata e azzannata dagli amici che componevano il cerchio magico del cavaliere, a Como ebbe la soddisfazione di strappare una condanna a Sgarbi, che per averle attribuito dalle frequenze del Biscione la patente di «bugiarda cortigiana parassita», dovette risarcirle 50mila euro.

Amica dei potenti o accusatrice

Quanto a lui, a Berlusconi, di lei parlò sempre con grande parsimonia, se non in occasione delle testimonianze rese nel corso in tribunale a Milano, e sempre contestando la credibilità. «Né amica dei potenti, né accusatrice - ebbe modo di dichiarare lei a La Provincia all’inizio degli anni Duemila -. Io non ho mai accusato nessuno, non ho mai pensato di vendicarmi di nessuno».

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