Botte e insulti a moglie e figlio
Il ragazzo fa condannare papà

Un caso da Ddl Zan: 3 anni e e mezzo per ingiurie omofobe - Nonostante la ritrattazione della madre, che ora è accusata di calunnia

Como

Il tribunale di Como ha condannato a tre anni e mezzo di carcere un uomo di 55 anni, residente in provincia di Como, nazionalità tunisina, sposato con una cittadina italiana nonché padre di tre figli che oggi hanno 18, 16 e 14 anni.

L’imputato - un alcolista disoccupato e ludopatico, almeno per come lo descriveva sua moglie nella denuncia sporta nell’ottobre del 2019 - è stato riconosciuto colpevole di una serie di maltrattamenti nei confronti del primogenito, martoriato di botte e insulti fin dalla più tenera infanzia, ma è stato assolto dall’accusa di avere usato analogo trattamento anche nei confronti della moglie. Quest’ultima, infatti, davanti al tribunale ha ritrattato tutto, e ora rischia quantomeno un processo per calunnia, posto che l’intera vicenda processuale scaturì proprio da quella sua prima querela.

La vicenda - portata in aula dal pm Massimo Astori - è di quelle che ricadrebbero nelle fattispecie di reato contemplate dal discusso Ddl Zan. Perché oltre alle sberle e alle minacce (anche di morte), papà rinfacciava al figlio anche di essere un «finocchio», che avrebbe fatto bene a lasciare la scuola: «Hai scelto di fare finanza e “cazzeting” (marketing?, ndr)... Da giovane non ero come te, io mi davo da fare... Vai a fare l’alberghiero, così vai a servire i tavoli e prendere le mance (...) Proprio te vuoi diventare un matematico che non lo sarai mai». La deposizione resa in aula dal ragazzo è stata penosissima. Nonostante le minacce («vi ammazzo davanti a tutti», «se scopro che andate dai carabinieri finite tutti e due sui giornali», riferito a madre e figlio), il ragazzo ha avuto la forza di ricostruire la sua vita fin dagli anni dei primi ricordi, sempre identici, di terrore, violenza e sopraffazione: «Frocio, finocchio, checca (...) Diceva spesso che mi avrebbe ucciso in pubblico, che avrebbe sparato prima e me e poi a mia madre, che io non ero nessuno (...) Davanti ai miei compagni a scuola mi prendeva magari anche per i capelli, mi trascinava, nei supermercati, dappertutto... Io ho ricordi terribili, ovunque».

La deposizione del ragazzo rende se possibile ancora più incomprensibile la totale ritrattazione della madre, che all’improvviso ha negato tutto, e questo benché già nel luglio del 2016 il gip del tribunale avesse disposto l’allontanamento del padre dal nucleo familiare, salvo poi revocare il provvedimento l’anno seguente, su istanza di lei, convinta che nel frattempo il marito si fosse ravveduto.

Il comportamento dell’imputato - che non finisce sul giornale con nome e cognome soltanto perché citarlo significherebbe rendere riconoscibile il figlio, vittima dei soprusi di papà fin da prima di compiere la maggiore età, per non dire degli altri due, ancora minorenni -, il suo comportamento processuale è rimasto sempre identico, improntato a una certa sfrontatezza, sia nei confronti del pubblico ministero che dello stesso tribunale.

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