Caso Riella e la rapina di Gravedona
L’anziana vittima ascoltata dal giudice

L’incidente probatorio in tribunale con la donna di 89 anni. «Non so chi fosse, aveva il passamontagna». Dell’episodio è accusato l’uomo latitante da oltre un mese che si è detto estraneo

Ha ribadito, davanti al giudice delle indagini preliminari Carlo Cecchetti, quello che ricordava della rapina subita il 9 ottobre del 2021 mentre era nella sua casa a Consiglio di Rumo.

La vicenda, già brutta e cruenta, è diventata nota a livello nazionale in quanto è quella che aveva portato in carcere Massimo Riella, 48 anni, poi evaso il 12 marzo mentre con una scusa aveva chiesto il permesso di poter andare a dire una preghiera sulla tomba della madre al cimitero di Brenzio.

Le vittime di quella rapina erano due anziani, un uomo di 91 anni nel frattempo deceduto e la moglie di 89. La signora, è stata sentita nel pomeriggio di giovedì 21 aprile in Tribunale a Como, nel corso dell’incidente probatorio chiesto dal pubblico ministero Alessandra Bellù.

Un modo per cristallizzare il racconto e il ricordo dell’anziana che è rimasto in tutti questi mesi sostanzialmente identico a quanto aveva già riferito agli inquirenti. Compreso il passaggio che raccontava di un uomo in azione con il volto coperto da un passamontagna, rapinatore che parlava in un italiano corretto e che le indagini dei carabinieri hanno poi ricostruito essere Massimo Riella, anche se quest’ultimo ha sempre negato la propria partecipazione a quell’azione.

L’incidente probatorio si è dunque chiuso ribadendo quello che era già noto, confermando il passaggio relativo al passamontagna che non è affatto secondario. Alcuni testimoni raccontano infatti, quella sera, di aver visto Riella mentre aveva in testa una sorta di cappello con molto tessuto ripiegato sulla testa, indumento che per i carabinieri e per il giudice firmatario dell’ordinanza era proprio il passamontagna.

Ci sono poi altri elementi che hanno portato all’arresto di Massimo Riella, a partire dalle immagini delle telecamere che l’avevano ripreso nei pressi dell’abitazione rapinata – mentre arrivava su uno scooter a fari spenti (a non più di 50 metri dall’abitazione degli anziani) e poi mentre si allontanava – per arrivare alla prova principe, la goccia di sangue trovata sul coltello-mannaia perso dal rapinatore con il passamontagna all’interno dell’abitazione delle povere vittime del colpo.

Insomma, Riella si è sempre professato innocente e proprio per questo motivo sarebbe evaso in modo tanto rocambolesco, e da oltre un mese è ricercato, ma proprio non si può dire che non vi siano elementi a suo carico per chiedere – come era stato fatto – una custodia cautelare in carcere.

Ora, alle carte sul tavolo del pubblico ministero, si è aggiunto anche l’incidente probatorio di giovedì. Mentre prosegue nel frattempo la fuga sui monti dell’evaso, che avrebbe potuto tranquillamente difendersi in un’aula di giustizia ma che al contrario ha preferito far perdere le sue tracce utilizzando il pretesto delle preghiere sulla tomba della madre morta.

Invece, una volta giunto a Brenzio, non entrò nemmeno nel piccolo cimitero, aggredendo i cinque agenti (uno colpito con una gomitata) e allontanandosi sulle montagne che conosce tanto bene.

(Mauro Peverelli)

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