Como: falsificava le presenze
Licenziata dal Comune

Il Tribunale di Como ha respinto il ricorso di una dipendente mandata via da Palazzo Cernezzi. Nell’inverno di due anni fa avrebbe finto il malfunzionamento del badge per giustificare i propri ritardi in ufficio

«Ho bisogno di sgranchirmi le gambe» diceva a chi le chiedeva conto dei continui allontanamenti dalla scrivania. Ma, quando quel bisogno si è fatto abitudine e, soprattutto, dopo aver collezionato ritardi spesso aggiustati con attestazioni di presenza falsificate, il Comune aveva deciso di licenziarla. Un licenziamento legittimo, ha stabilito ora il giudice del lavoro di Como, che ha respinto il ricorso della lavoratrice. L’applicazione da parte di Palazzo Cernezzi della legge sui cosiddetti “furbetti del cartellino” regge alla prova del Tribunale.

La vicenda

Protagonista una donna di 55 anni, comasca, licenziata lo scorso anno dall’amministrazione comunale da un lato per aver accumulato troppe ore di assenza dal luogo di lavoro, dall’altro per aver «sistematicamente» falsificato gli orari di ingresso.

L’attenzione degli uffici di Palazzo Cernezzi sulla dipendente, che aveva ottenuto quattro anni prima un trasferimento dall’ospedale Sant’Anna, dove lavorava in precedenza, si era accesa dopo che erano state riscontrate una serie di condotte definite «anomale sua sotto il profilo della frequenza» sia «con riferimento alle modalità».

Ci si era accorti che la dipendente, che lavorava all’ufficio relazioni con il pubblico, era ricorsa ripetutamente (e comunque «in misura nettamente superiore alla norma») al sistema cartaceo alternativo alla timbratura. Sostanzialmente la donna lamentava il malfunzionamento del suo badge e, sostenendo di non essere riuscita a timbrare, ricorreva dopo giorni a fornire a voce le indicazioni sugli orari di entrata o di uscita. In realtà, secondo il Comune, si sarebbe trattato di espedienti «per aggirare il sistema di rilevazione delle presenze». Dopo averle notificato delle lettere di contestazione, nell’aprile dello scorso anno Palazzo Cernezzi ha aperto un procedimento disciplinare contro di lei sfociato nel licenziamento.

La difesa della dipendente

La dipendente ha cercato di difendersi sia di fronte alla commissione disciplinare dell’ente pubblico prima, sia successivamente nel corso del procedimento davanti al giudice del lavoro, sostenendo di essere vittima di comportamenti mobbizzanti da parte dei suoi colleghi - in realtà mai provati, a quanto pare - sia di essere stata costretta a lavorare in condizionii, anche ambientali, decisamente precarie.

Il Comune ha respinto in toto le sue giustificazioni e ha licenziato la dipendente per la «sistematica omissione dell’obbligo di timbratura» nei mesi di dicembre e gennaio (7 giorni su 19), l’attestazione in servizio in orario non corrispondente a quello effettivo.

Il giudice del lavoro Barbara Cao, nei giorni scorsi, ha respinto il ricorso della donna, assistita da Antonio Lamarucciola (il Comune era invece assistito dall’avvocato Rocco Mangia), che chiedeva il reintegro. Non ci sono ancora le motivazioni della sentenza, ma è evidente che la legge sui furbetti del cartellino, in questo caso, è stata applicata correttamente.

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