Coronavirus, allarme rientrato
Famiglia isolata per un giorno

Padre, madre e due bimbi atterrati a Malpensa trasportati in ospedale dal 118. Attivate le procedure d’emergenza, poi nella tarda serata di ieri l’esito dei test: tutto negativo

Allarme all’ospedale Sant’Anna per una famiglia italiana trattenuta fino alla tarda serata di ieri in isolamento per un sospetto di un contagio da Coronavirus.

Si tratta di una coppia con due bambini in tenera età, in arrivo con un volo da Pechino all’aeroporto di Malpensa, trasportati nel nosocomio comasco nella serata di martedì. Nella giornata di ieri sono stati tutti sottoposti ad accertamenti: ieri sera i test di laboratorio, dopo lunghe ore di apprensione, hanno escluso la presenza di Coronavirus.

Le procedure di emergenza sono scattate dopo che allo sbarco in Italia, durante i controlli attivati all’aeroporto per intercettare i casi sospetti, uno dei figli della coppia, il più piccolo, ha mostrato sintomi respiratori e febbre alta. Da qui la decisione di valutare esami più approfonditi e attivare cosi le procedure previste in questi casi sospetti e messe a punto in questi giorni.

Papà lavora in Cina

La famiglia italiana, che risulta essere residente nel Comasco, era appena sbarcata da Pechino dove lavora il padre, impiegato in un’azienda cinese. Mamma, papa e i due bambini, uno di tre anni e l’altro di nove mesi, sono stati così messi in isolamento per evitare il contatto con altre persone. A Malpensa, così come in altri aeroporti, è attivo il protocollo di monitoraggio dei pazienti in arrivo dall’Estremo oriente, con misurazione a bordo della temperatura corporea. La task force per riconoscere e affrontare eventuali casi di Coronavirus in Lombardia si avvale della collaborazione di tre laboratori ai quali trasmettere i campioni da analizzare e di 17 reparti di malattie infettive di riferimento, tra questi anche quello del Sant’Anna. Così, da Malpensa, in caso si rendano necessari ulteriori controlli viene attivato il trasporto nella struttura sanitaria ritenuta più idoneo.

Verifiche in aeroporto

Martedì sera, dopo le prime verifiche in aeroporto, è stata attivata la Sala operativa regionale di Emergenza e Urgenza (Soreu) di Areu, per far partire l’ambulanza che ha portato la famiglia al Sant’Anna, dove è stata presa in cura, utilizzando tutte le procedure di sicurezza necessarie per evitare il contatto con gli altri pazienti. Il protocollo, inoltre, prevede anche per gli operatori del servizio di emergenza e urgenza incaricati del trasporto, l’utilizzo di mascherine, guanti e di indumenti di protezione.

Si tratta di una procedura messa in atto con tutte le tutele del caso e che prevede anche di informare in tempo reale dell’arrivo di un caso sospetto il pronto soccorso dell’ospedale individuato per le prestazione delle prime cure, e per consentire l’attivazione del percorso clinico e logistico ritenuto più opportuno, anche al fine di ridurre il rischio di esposizione potenziale per gli operatori sanitari e gli utenti. L’ospedale di San Fermo, peraltro, nell’area del pronto soccorso, può contare su una sala di “isolamento” che può essere utilizzata per i casi di patologie con elevato rischio di contagio. Dopo i primi accertamenti, sono state così eseguite tutte le analisi necessarie che sono state subito dopo inviate al laboratorio del Policlinico di Pavia, per verificare la presenza del virus o meno. L’esito degli esami, negativi, è poi giunto nella tarda serata.

Per quanto riguarda gli altri casi sospetti segnalati in Italia, il Ministero della Salute, con una nota ufficiale, ha fatto sapere, sempre nella giornata di ieri, che si sono rivelati tutti negativi. Al momento nel nostro paese non c’è nessun caso conclamato il che significa nessuna allarme, fortunatamente, ma l’allerta resta massima, così come i controlli.

Pronti ad attivarci

Dall’ospedale Sant’Anna si limitano a confermare che «la struttura ha attivato le procedura di emergenza previsti in questi casi».

Non è la prima volta che gli esperti dell’ospedale comasco si preparano ad affrontare situazioni di alto rischio. Già nel 2014, con l’epidemia di Ebola, il nosocomio aveva studiato una procedura di emergenza che aveva previsto non solo la formazione del personale, ma anche la vestizione con indumenti specifici, così come due posti letto dedicati in stanze a “pressione negativa” per bloccare agenti infettivi. In quel periodo il protocollo era scattato dopo che un 21enne si era presentato con sintomi sospetti, fortunatamente poi smentiti dalle verifiche di rito. L’equipe comasca aveva dimostrato anche in quell’occasione di essere pronta a gestire la situazione. L’allerta rimane alta, a maggior ragione alla luce della crescita esponenziale dei casi in estremo oriente.

La speranza è ovviamente quella che le autorità cinesi riescano ad arginare il contagio. E che la famigliola comasca si rimetta al più presto.

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