Daniela e il passato ritrovato. Tre anni di indagini sul web

La storia L’infermiera comasca che ha commosso l’Italia due anni fa con la ricerca della madre che l’aveva abbandonata appena nata

Una lettera lasciata nella cassetta, una donna dagli occhi chiari che esce dalla porta, la legge, rientra. Chissà quante volte se l’era immaginata Daniela Molinari la prima volta che si sarebbe rivolta direttamente a sua mamma: ecco, è andata così, non un vero incontro, solo uno sfiorarsi di vite, perché la donna che l’ha messa al mondo non ha cambiato idea, come è nel suo pieno diritto, e non vuole conoscerla.

Sono passati poco più di tre anni da quando Daniela, che allora aveva 47 anni, decise di raccontare pubblicamente la propria storia per cercare di rintracciare la madre naturale che l’aveva abbandonata al brefotrofio di via Paoli a Como subito dopo la nascita, chiedendo l’anonimato. Daniela, malata di una gravissima forma di tumore ai linfonodi, aveva allora una sola possibilità di cura, per mettere a punto la quale era necessaria la mappa genetica dei genitori. Di qui l’appello, la ricerca che commosse l’Italia, infine - grazie al Tribunale dei minori di Milano che riuscì a trovare la donna e la convinse a effettuare il prelievo di sangue restando nell’anonimato - il tentativo di cura con un’equipe di medici americani. Cura che purtroppo non ha funzionato - era comunque monca perché mancava il profilo genetico del padre.

La ricerca del padre

Per questo la ricerca di Daniela non poteva interrompersi. La battaglia è proseguita su sue fronti, quello dell’identità del padre e - in risposta all’esigenza emotiva fortissima di tentare in ogni modo di riallacciare un legame - quello per ritrovare la mamma.

In questa indagine apparentemente disperata Daniela è stata affiancata da un terzetto di formidabili, per quanto improvvisati, investigatori del web. L’idea di partenza è stata di Marcella Molteni, un’amica di Lurago d’Erba che si era avvicinata a Daniela dopo averne conosciuto la storia. «Le ho proposto di far analizzare il proprio Dna tramite il sito Myheritage - racconta - È bastata una goccia di saliva e la nostra ricerca è partita». Il test è stato caricato su una piattaforma che consente di individuare eventuali parenti: così Marcella entra in contatto con Serge Girardi, un lontano parente francese di Daniela. Inizia il lavoro di incrocio dei dati. Ma il tempo è poco, Marcella chiede aiuto a un’altra amica, Valentina Perego, di Merone.

Serge, il cugino francese, mette a disposizione tutte le informazioni relative al proprio albero genealogico e sembra che tutto porti alla Liguria. È in questo momento che Daniela riesce a ottenere la mappa genetica della madre tramite il Tribunale.

Il cerchio si stringe

Il cerchio dei parenti di Daniela si stringe grazie ai social, l’albero genealogico dopo un anno di lavoro è completo: vi compaiono 482 nominativi, divisi in sette rami familiari. «Sapevamo che lì dentro c’era anche il padre di Daniela, ma non sapevamo chi era e soprattutto non potevamo dimostrarlo. Ci voleva un altro test del Dna».

A novembre, mentre Daniela sta affrontando la cura sperimentale, Valentina ha l’intuizione di contattare una pagina facebook del paese in cui dovrebbe risiedere il padre. «Daniela pubblica un appello che pare incuriosire tutti, arrivano tanti commenti - dice ancora Marcella - A quel punto contattiamo privatamente sui social tutti quelli che in paese portano quei cognomi, chiedendo la loro collaborazione». Nessuno si fa avanti, prosegue Marcella, «ma guardando le foto dei profili un tardo pomeriggio capisco di aver fatto bingo».

Fra centinaia di volti infatti c’è quello di una donna che somiglia moltissimo a Daniela. Soprattutto, ha gli stessi occhi trasparenti. Marcella riesce a contattarla, la donna inizialmente dice di aver fatto il prelievo per il test, ma poi diventa sfuggente: «Alla fine è chiaro: ci ha mentito». Ma le piste di questa incredibile ricerca sono infinite: «Qualcuno che ha seguito la vicenda sui social telefona a Serge dicendo di avere delle informazioni. Ci suggerisce di cercare un uomo che vive vicino a Como, figlio di un ragazzo ligure che aveva svolto il servizio militare qui, si era innamorato di una ragazza del luogo ma purtroppo era morto giovane».

Daniela lo incontra, fanno il test del Dna dal quale risulta che sono parenti stretti. Tutto torna: la cugina di quest’uomo è la donna che ha mentito sul test. Sono le ultime battute della ricerca: con l’aiuto di un legale si ottiene il test del Dna del papà di questa donna, che si rivela essere il fratellastro di Daniela. Il padre dell’infermiera comasca, dopo anni di lavoro, ora ha un nome: ma l’uomo, purtroppo, è morto nel 1985.

Tutto inutile? Sul fronte della cura sì, ma il filo rosso teso da queste donne lungo l’albero genealogico di Daniela ha fornito gli elementi per individuare anche la mamma, che vive in provincia di Como. È nata così la decisione di recapitare quella lettera, un estremo, umanissimo tentativo di riallacciare, per quanto possibile, il filo degli affetti così tragicamente interrotto. Un seme che per ora non ha dato frutti, ma che forse germoglierà. E le cure? L’infermiera comasca non si è mai arresa e continuerà a non farlo: l’obiettivo ora è andare a Houston, dove c’è il centro che l’ha presa in cura, e lottare ancora. Si puà provare a ricalibrare la terapia grazie al Dna della figlia di Daniela. Gli ostacoli sono tanti: il primo sono le condizioni di Daniela, poco compatibili con un viaggio così lungo, il secondo naturalmente i soldi.

Per questo le amiche di Daniela vogliono rilanciare la raccolta fondi (https://gofund.me/cdb7c436) che fin qui ha consentito di pagare le terapie: un miracolo che si ripete da tre anni e che, Marcella ne è certa, si verificherà anche questa volta.

Notti insonni

«Marcella e Valentina sono le persone che hanno fatto dietro le quinte il lavoro più grosso - racconta Daniela - Notti insonni per incrociare Dna trovando alla fine le mie origini: non so dire a posteriori se è stata, al di fuori del punto di vista clinico, qualcosa che mi ha aiutato o che mi ha fatto del male, però senza questo gruppo forte e coeso non sarei nemmeno riuscita a partire nella sperimentazione. Non so come andrà a finire, se riuscirò a raccogliere abbastanza fondi per affrontare l’ultimo pezzo, il più duro, e non so neanche come il mio corpo reagirà a tutto quello che ha patito, ma questo non cancella l’enorme grazie che devo ai miei amici. E nemmeno cancella il mio voler dire ancora alla mia mamma: io mi sono mossa verso di te in tutti i modi possibili, ti ho rispettato ed amata in silenzio. Ti aspetto ancora. Sono qui».

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