Diminuiscono le nascite al Sant’Anna
Sono 108 in meno nel primo semestre

I dati sui primi mesi dell’anno confrontati con lo stesso periodo del 2020 e 2019 - Probabile che abbia inciso la pandemia. Cetti: «Una tendenza comune ai Paesi più ricchi»

Como
Nel primo semestre del 2021 si è registrato un calo delle nascite nell’ospedale Sant’Anna.

Sono esattamente 108 le culle rimaste vuote rispetto allo stesso periodo del 2020: da 934 dello scorso anno, i fiocchi rosa e azzurri sono stati 826. Sono invece sei in più rispetto al 2020, nel primo semestre di quest’anno, i nuovi nati al Valduce, che ha visto 509 vite venire al mondo.

Quanto, e se, abbia inciso la situazione pandemica sulla scelta o meno di avere figli è difficile da dire. Di certo, ci sono i numeri che indicano come, complessivamente, nei due presidi ospedalieri di Como il dato sulle nascite sia passato da 1.437 nei primi sei mesi del 2020 (in risalita rispetto al 2019, quando sono stati 1.389) a 1.335 in apertura del 2021.

Sono diversi i fattori che possono aver inciso sulla decisione, o meno, di avere dei figli.

Al momento, si possono fare solo ipotesi, ma non ci sono certezze su quali siano esattamente le cause che hanno comportato questo calo. Sulla possibilità che possa aver inciso in modo pesante la situazione sanitaria dello scorso anno, lo psichiatra, ed ex direttore del dipartimento di Salute mentale del Sant’Anna, Claudio Cetti spiega che il dato non può essere letto solo in relazione al contesto pandemico. «È una tendenza - ha precisato - dei Paesi che stanno meglio: quando aumenta il benessere, diminuiscono le nascite». Una fotografia che sembra accomunare tutti i Paesi occidentali avanzati. «Siamo in una situazione in cui siamo fortemente sollecitati - ha precisato ancora - con richieste di performance maggiori rispetto a società dove le persone si accontentano».

In territori “ad alta performance”, inoltre si riscontra un maggiore individualismo, basti pensare al fatto che «di fronte a malattie come le psicosi, in un contesto rurale, più povero, scatta la rete di prossimità, di famiglia allargata, che manca invece nei centri ad alta performance, dove forse ci si occupa più di sè».

Certo può comunque suonare strano che più si sta bene, meno si decide di mettere al mondo dei bambini. Ma l’esperto offre ancora una volta una possibile spiegazione: «Fare figli può essere anche visto come un investimento, pensiamo alle zone meno ricche, dove i figli diventano una risorsa per andare avanti quando si invecchia. Da noi, non c’è questa necessità».

Ovviamente, al di là dei numeri che sono certi, sulle cause si tratta solo di ipotesi. Ma, come ha proseguito lo psichiatra, il calo della natalità può derivare anche da aspetti (come può essere stata la situazione pandemica) che influenzano l’ottimismo: «I ritmi di lavoro, lo stress, sono fattori negativi per quanto riguarda il prendersi una responsabilità di questo tipo». E ancora, lo stato emotivo causato dall’emergenza sanitaria è stato per alcune persone molto pesante, soprattutto nella prima fase, quella del 2020: «Non si sapeva cosa fare, come uscirne, ora invece ci sono i vaccini e le cure che permettono di gestire la situazione». A questo stato emotivo si è aggiunto il distanziamento sociale «che ha modificato le abitudini delle persone».

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