Dirigente in Comune, ma è condannato
La norma anticorruzione: non si può

Como: la legge vieta funzioni direttive se l’interessato ha avuto pene anche solo in primo grado. Dubbi sul ruolo di Antonio Ferro. L’Anac: «Articolo pensato per prevenire il discredito sull’ente»

Condannato per turbativa d’asta, ma tuttora dirigente dell’amministrazione comunale. È una situazione complicata quella in cui si trova l’amministrazione cittadina, stretta da un lato dalle norme anticorruzione sulla pubblica amministrazione, dall’altro sull’esigenza di trovare un ruolo a chi ancora non ha una condanna passata in giudicato.

La norma e la condanna

La vicenda riguarda Antonio Ferro, ex responsabile del progetto paratie condannato in Tribunale a Como a 1 anno e 3 mesi per falso e turbativa d’asta, proprio in merito alla maxi opera pubblica di difesa dalle acque del lago. Ferro, che com’è noto ha sempre respinto ogni contestazione, ha fatto ricorso in appello e attende il processo di secondo grado, si è ritrovato a dover cambiare ruolo, in Comune: dal settore grandi opere ed opere pubbliche è stato spostato al settore prevenzione e protezione aziendale, patrimonio e demanio, turismo e comunicazione. Ma una norma, ispirata ai principi di legalità e buon andamento dell’amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione, suggerirebbe che anche il nuovo ruolo sarebbe illegittimo.

Recita la norma: “Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (tra cui la turbativa d’asta ndr) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati».

Possibili ripercussioni

La questione - che ha interessato anche la Procura - potrebbe avere ripercussioni non indifferenti sull’attività amministrativa. Perché, ancorché nell’incarico dirigenziale sia espressamente esclusa la competenza delle procedure di affidamento del Codice dei contratti, la norma è stata pensata per «prevenire il discredito, altrimenti derivante all’amministrazione, dovuto all’affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà», recita l’Autorità Anticorruzione in un suo pronunciamento.

Diversa la posizione di Maria Antonietta Marciano, anche lei dirigente comunale (dal settore legale è passata a quello economico) condannata in primo grado per il processo paratie ma “solo” per il reato di falso, che non è compreso tra gli articoli di legge per cui è prevista l’inconferibilità del ruolo (e comunque anche per lei l’incarico prevede espressamente l’esclusione dalle procedure di affidamento del Codice dei contratti).

Il tema potrebbe anche diventare politico. L’avvocato, e consigliere comunale, Fulvio Anzaldo infatti commenta: «A questa stregua ritengo essenziale sapere come si ponga l’amministrazione innanzi a detta norma e quali siano i criteri di nomina adottati. Chiederò nelle opportune sedi, anche perché eventuali nomine non conformi al dettato normativo potrebbero essere foriere di danno per il Comune». P. Mor.

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