Assolti gli skinhead dopo l’irruzione al Chiostrino: «il fatto non sussiste»

Il caso Dopo le condanne in primo grado, la Corte d’Appello ribalta tutto: il blitz del 2017 non è «violenza privata». Erano sotto accusa in 13. Avevano interrotto la riunione di Como Senza Frontiere e preteso di leggere un documento

Colpo di scena nel processo per l’irruzione (datata 28 novembre 2017) che si verificò nel corso di una riunione del movimento “Como Senza Frontiere” in cui il tema all’ordine del giorno era l’accoglienza dei migranti nella nostra provincia. Il blitz – le cui immagini avevano fatto il giro di tutta Italia e che era stato compiuto da skinhead in arrivo da Como, dal resto della Lombardia e del Nord Italia – per i giudici dell’Appello di Milano non fu un atto di violenza privata. La sentenza di assoluzione è stata letta con la formula del «perché il fatto non sussiste». Ribaltate completamente le condanne che erano state lette in primo grado a Como, una decisione giunta dopo mezz’ora di camera di consiglio.

I nomi

Difficile al momento capire i motivi di questo cambio di rotta: per farsi una idea bisognerà infatti attendere la pubblicazione delle motivazioni attese tra un paio di mesi. Le Digos di Como, Lodi, Brescia, Piacenza, Milano, Mantova e Genova lavorarono, all’epoca dei fatti, per identificare gli skinhead che agirono a volto scoperto e riprendendosi con i telefonini. Furono 13 gli indagati poi portati a processo: Moreno Caccia (47 anni), Dario Licotti (42 anni), Paolo De Lazzer (49 anni), tutti e tre della nostra provincia, poi Wiliam Reccagni (48 anni, Brescia), Thomas Imprezzabile (36 anni, Piacenza), Manuel Foletti (35 anni, Piacenza), Luca Bellini (44 anni, Mantova), Alfredo Meroni (44 anni, Piacenza), Federico Aradori (29 anni, Brescia), Ivan Sogari (34 anni, Mantova), Alessandro Magnoni (55 anni, residente nel Lodigiano), Maximilian Tinelli (41 anni, residente a Genova), Giorgio Gardella (38 anni, Genova).

Il giudice di primo grado li aveva condannati tutti a un anno e 8 mesi, nonostante lo sconto di un terzo della pena per il rito Abbreviato. Per due di loro, Sogari e Caccia, la pena era stata solo un poco più alta, un anno 9 mesi e 10 giorni. Ma ieri mattina, dopo che l’accusa aveva chiesto la conferma della sentenza impugnata, il giudici meneghini hanno ribaltato tutto assolvendo gli imputati con la formula piena.

Le reazioni

«C’è delusione ma altro non posso dire – ha commentato a caldo l’avvocato Gianluca Giovinazzo che in tutti questi mesi ha assistito i volontari che furono costretti ad ascoltare la lettura del volantino degli skinhead – Non mi aspettavo questo esito, per capire il ragionamento dei giudici bisognerà però attendere le motivazioni».

La sera dell’incontro al Chiostrino di Sant’Eufemia, in cui era in programma una riunione dei volontari di Como Senza Frontiere, il gruppo di skinhead entrò nella sala e, tutti vestiti di nero, a gambe aperte e con le mani dietro la schiena, circondarono i volontari pretendendo l’ascolto integrale del messaggio che avevano preparato. Una irruzione che aveva portato la procura di Como (pm Simona De Salvo) ad indagare tutti e 13 gli identificati con l’ipotesi di reato di violenza privata. Una tesi che aveva retto in primo grado ma che non ha tenuto ieri in Appello.

Inevitabilmente la sentenza ha fatto discutere fin dal primo pomeriggio di ieri. «L’Anpi provinciale di Como, parte civile nel processo contro i tredici esponenti del Veneto Fronte Skinheads – ha poi commentato ieri Manuel Guzzon, presidente provinciale - nel prendere atto dell’assoluzione esprime tutta la propria delusione e il proprio sconcerto. Decisione che ha sconfessato la sentenza di primo grado che aveva ben spiegato perché sussistesse il reato di violenza privata. Quello che lascia ancora più perplessi è come agli occhi della opinione pubblica emerga la natura ondivaga delle decisioni degli organi giudicanti. Due decisioni così in contrasto tra di loro non solo allontanano il cittadino dalla giustizia ma creano disorientamento».

«Preoccupa - scrive l’Arci - che siano state ignorate le parole chiare della Procuratrice generale al processo di secondo grado che nel chiedere la conferma delle condanne ha ricordato la Costituzione. Attendiamo le motivazioni dell’imprevista e imprevedibile sentenza della Corte d’Appello, convinti che tale sentenza debba avere come risposta un ancora più grande impegno per l’affermazione dei valori della Costituzione nata dalla Resistenza».

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