Emergenza Coronavirus
Applausi e disegni
C’è la speranza
sui balconi di Como

Voglia di socialità in un centro deserto. Messaggi dei bambini, bandiere e aperitivi virtuali

«C’è un silenzio angoscioso e preoccupante là fuori per le strade». Amanda Cooney, comasca d’adozione di origini inglesi, lo scrive in inglese per spiegare ai suoi amici d’oltre Manica cosa significa vivere in una zona Rossa. «Le faccende domestiche, che in precedenza erano qualcosa “chi mai ha il tempo di occuparsene”, sono diventate improvvisamente di vitale e confortante importanza. Ogni tanto guardo speranzosa fuori dalla finestra, alla ricerca di un segno di vita. Qualsiasi vita. Il normale trambusto di una cittadina del nord Italia. Occasionalmente passa con poco entusiasmo il proprietario di un cane con al seguito un cane altrettanto abbattuto».

Applausi e fiducia

Il centro storico ha il sapore dell’abbandono. E, per chi ci abita, è un sapore amaro.

Eppure si cerca di ritrovare una speranza. E quella speranza è appesa a molti balconi, a molte finestre. C’è chi ha messo un Tricolore, per ricordare che ci sono partite ben più importanti da vincere di un mondiale di calcio, e chi invece ha appeso lenzuola pitturate dai bambini con i colori dell’arcobaleno e la scritta: “Andrà tutto bene”. E poi ci sono i flashmob, un tempo l’occasione per riempire le piazze, oggi quella per affacciarsi alla finestra e sentirsi meno soli. Venerdì sera, la musica. Ieri a mezzogiorno, per le strade deserte del centro storico, sono riecheggiati gli applausi di molti comaschi. Applausi per gli infermieri, i medici, i soccorritori e i volontari in prima linea nella lotta contro il coronavirus. Un applauso liberatorio, un applauso che unisce.

«Capisco questo bisogno di nazionalismo in questo momento difficile per l’Italia - dice ancora Amanda Cooney - In fondo, il mondo (incluso me) vi vuole molto bene. Forse non vi sembra sempre così, ma è così».

La città nel frattempo ha tutto un altro sapore. La Napoleona senza auto. Il lungolago senza turisti. I tavolini al bar desolatamente vuoti. Ieri mattina qualcuno in giro c’era. Persone con il sacchetto della spesa in mano o con il cane a guinzaglio. Ma nel pomeriggio il vuoto. Ad eccezione dei poliziotti e dei carabinieri impegnati nei controlli. Anche i portici dell’ex chiesa di San Francesco sono deserti, non ci sono più i senzatetto che dormono loro malgrado ammassati.

Un aiuto dalla tecnologia

La città di chi ha la fortuna di avere una casa, resta nei soggiorni, nelle cucine, al chiuso. «Ci consoliamo passando del buon tempo con i familiari, rinsaldando certi legami per i quali le nostre precedentemente così occupate vite, ci lasciavano pochissimo prezioso tempo - scrive ancora Amanda Cooney ai suoi contatti inglesi - Le lezioni in videocall con i miei studenti che, prima di questo blocco, tenevo faccia a faccia, diventano una fonte molto attesa e benvenuta di contatto umano. Ogni volta che il video si spegne durante una lezione, grido in preda al panico: “No! Ho bisogno di vedere la tua faccia. Ho bisogno di vedere la tua faccia!”».

Un bisogno condiviso da chi le inventa tutte per riassaporare quel desiderio di normalità, magari inventandosi un “chat aperitivo” per un brindisi con gli amici via skype. In attesa che

tutto vada meglio.n 
P.Mor.

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