«Fece sparire i soldi della ’ndrangheta»: il pm chiede 6 anni per il “ragioniere”

Il processo Secondo l’accusa gestiva i conti correnti delle società riconducibili ai clan. Per la difesa l’uomo era solo dipendente e non aveva a che vedere con la gestione

Secondo l’ipotesi dell’accusa, era il “ragioniere” al servizio delle famiglie di ’ndrangheta, colui che gestiva i conti correnti delle società riconducibili a loro esponenti e che «operava autonome scelte circa la destinazione del patrimonio» delle stesse.

Non solo un contabile

Non un semplice contabile, ma qualcosa di più, al servizio dei Paviglianiti e degli Oppedisano. Per questo motivo, per Fabio Cerutti, professionista di 54 anni di Luisago, sono stati chiesti dal pm sei anni di carcere con il rito abbreviato.

La difesa, rappresentata dall’avvocato Maruska Gervasoni, ha risposto punto su punto nella sua arringa, sostenendo che in merito alla prima società – la Colmet – il comasco era un mero dipendente che si occupava dei cedolini degli stipendi, mentre nella seconda – la Mcf srls – aveva avuto un incarico professionale a breve termine, senza tuttavia avere nulla a che vedere con la gestione, consigliando solo la costituzione della stessa e svolgendo le pratiche che portarono alla nascita. La sentenza potrebbe arrivare nel mese di ottobre. Una vicenda complicata, in cui tra l’altro il giudice delle indagini preliminari in un primo momento non aveva concesso la misura cautelare in carcere. Decisione impugnata dalla Procura che era riuscita a ribaltare la decisione di fronte al Riesame (poi confermata in Cassazione).

Le accuse sono pesanti, e rientrano nell’ambito di un procedimento più ampio che vede alla sbarra – a Milano – altri imputati per reati commessi in diversi punti della Lombardia. Al cinquantatrenne comasco viene contestato l’aver commesso i reati di riciclaggio ed autoriciclaggio con l’aggravante del metodo mafioso favorendo appunto famiglie vicine alla malavita di stampo calabrese. Condotte che avrebbe messo in atto per «eludere le disposizioni di legge in materia di confisca dei beni e prevenzione patrimoniale». Secondo quella che è la tesi della Dda, in pratica, sono due le società (con sede nel Comasco) che avrebbe seguito da vicino Cerutti, le già citate Mcf srls e la Colmet. Attività che sarebbero state create per favorire l’evasione fiscale attraverso l’emissione di false fatture, ma anche – tramite i conti correnti – per far sparire nel nulla il denaro che vi confluiva, spesso in modo non lecito.

I dubbi della banca

Che qualcosa non andava, in quelle società, era stato notato anche dalla funzionaria di banca dove era stato aperto il conto corrente. Per questo motivo le famiglie malavitose si erano allarmate, arrivando ad aggiungere e sostituire alla Comet anche la Mcf.

Società che dunque, secondo l’ipotesi accusatoria, furono fatte nascere, prima l’una e poi l’altra, per mettere in atto e proseguire nel sistema delittuoso finalizzato alla frode fiscale e al riciclaggio dei relativi proventi, attraverso sia le false fatture per operazioni inesistenti sia con il successivo “giro” delle relative partite monetarie in favore di società terze che avrebbero dovuto essere clienti ma che nascondevano – dietro a prestanome – le famiglie vicine alla malavita calabrese. Società che erano «frutto di un accordo», ovvero di un «patto pregresso» tra i due gruppi criminali che avevano in Cerutti – secondo la procura - il “ragioniere”.

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