Fuggito con i fratelli dall’Afghanistan
«Mia moglie è ancora in quell’inferno»

Parla uno dei rifugiati accolti a Como da Caritas e Intesa sociale. Mujahid Khan ripercorre i momenti più difficili: «In diecimila ammassati all’aeroporto»

Sono 27 gli afgani accolti a Como, ospitati dalla Caritas Diocesana e dalla cooperativa Intesa sociale. Tra loro c’è Mujahid Khan, arrivato con lo zio e i fratelli.

Ripete in continuazione che è stato fortunato, che può solo ringraziare Dio per il fatto di trovarsi in Italia. É ancora incredulo di essersi messo in salvo, scappando dall’Afghanistan dei talebani, eppure parla con voce tranquilla, dice anche qualche parola in italiano. Ma le emozioni più profonde sono affidate alla traduzione di un interprete.

A Como, al sicuro

Alla stanchezza di un viaggio di otto ore trascorse con le ginocchia strette al petto nella pancia di un aereo partito da Kabul verso Roma, Mujahid Khan, classe 1991, non vuole nemmeno pensarci. É alle spalle, come un pericolo passato. Niente, assicura lui, in confronto a quello che avrebbe potuto subire se fosse rimasto nel Paese d’origine.

Ma dal suo volto, e da quello dei fratelli e dello zio che venerdì notte sono arrivati con lui a Como, traspare lo stesso lo shock di essere stati catapultati in una realtà diversa in pochissime ore. Sono uomini estremamente provati quelli che si trovano in via Grandi, in uno degli appartamenti messi a disposizione dalla cooperativa Intesa Sociale.

Tra loro parla solo Mujahid Khan, i bambini sono in camera a giocare e gli altri uomini, gli ospiti sono cinque in tutto, rimangono in disparte nel salotto. Sulle sedie ci sono poche borse, contengono lo stretto necessario con cui si sono messi in viaggio dalla campagna dove vivevano verso la capitale Kabul. Gli operatori di Intesa Sociale hanno fatto di tutto per accoglierli al meglio, allestendo gli appartamenti e adesso sono lì accanto, e ascoltano le loro storie.

Ieri mattina, nella cooperativa si è alle prese con le incombenze quotidiane, la spesa, i vestiti, la sistemazione delle camere, ci sono vite tutte da reinventare e ricostruire.

La partenza

Mujahid Khan ha voglia di condividere quello che ha passato, fin dalla partenza: «Quel giorno eravamo oltre 10 mila persone ammassate all’aeroporto. Io e i miei fratelli siamo riusciti a salire a bordo del mezzo che ci ha portati in Italia, facendo scalo nel Qatar, grazie all’aiuto dei militari italiani che hanno visto i bambini e mia moglie, incinta di alcuni mesi. Ci riteniamo fortunati perché tanti sono rimasti a terra e adesso tutti i voli per uscire dal Paese sono sospesi». Mentre tentava di raggiungere l’aeroporto la moglie è caduta nel canale che lo separa dalla strada e si è sentita male. Lui fa fatica a ricordare quel momento, troppo dolorosa la scelta di separarsi da lei che, impossibilitata a continuare il cammino, ha rinunciato al viaggio per dare la possibilità di scappare al marito e ai fratelli più piccoli.

«Il mio pensiero va sempre a lei – continua – Avevo già vissuto in Italia per un periodo, ottenendo la protezione internazionale sussidiaria. Mi trovavo in Afghanistan per incontrare mia moglie e portarla qui con me dove iniziare una vita insieme. Proprio in quelle settimane, il potere è stato preso dai talebani, e ci siamo scoperti in trappola. Con i talebani, le donne e chi ha collaborato con il precedente governo sono le persone più in pericolo, a cui sono negati i diritti e che portano addosso stampata una condanna».

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