Gli ex brigatisti rifugiati in Francia. Ricorso “comasco” a Strasburgo

La storia Un avvocato del foro di Como nel pool che assiste i parenti di un agente di polizia ucciso dalle Br nel 1979

«Ce la stiamo mettendo tutta. Sarà difficile, ma è una cosa che ci sta a cuore e per questo abbiamo creato un pool difensivo specializzato per questo tipo di ricorsi». Un ricorso, diciamo subito, per nulla “ordinario” davanti alla Corte Europea per i Diritti dell’uomo, non contro un avversario qualsiasi ma contro una nazione, la Francia, contro la sua corte di Cassazione e contro la dottrina chiamata “Mitterand” dal politico da cui prende il nome. Una impostazione, quella difesa da questa dottrina, che nega l’estradizione in altri stati (in questo caso in Italia) per persone imputate o condannate per «atti di natura violenta ma d’ispirazione politica» purché non diretti contro la Francia, qualora i loro autori abbiano nel frattempo rinunciato alla violenza politica. Una dottrina che tutela insomma un presunto diritto al rispetto alla vita privata per chi, dopo anni, si è ricostruito un’esistenza in altre parti del mondo nonostante diversi scheletri lasciati alle spalle.

L’avvocato Andrea Mensi, comasco, con i colleghi, Paolo Busco e Valter Biscotti, ha depositato alla Corte Europea di Strasburgo un ricorso contro il “no” dello Stato francese all’estradizione di Roberta Cappelli, ritenuta tra i responsabili dell’omicidio dell’agente della Polizia di Stato Michele Granato, ucciso a soli 24 anni dalle Brigate Rosse il 9 novembre 1979.

Il ricorso è stato presentato dalla sorella dell’agente, la signora Santa, assistita da un collegio di cui fa parte anche l’avvocato Mensi. Nel ricorso – presentato in seguito alla sentenza del 28 marzo 2023 con cui la Cassazione francese aveva negato l’estradizione – si denunciano gravi violazioni sostanziali e procedurali dei diritti fondamentali della signora Granato. Secondo la Cassazione francese, però, l’estradizione lederebbe i diritti fondamentali della signora Cappelli, dal momento che la stessa avrebbe ormai stabilito una vita famigliare, sociale e lavorativa in Francia. La stessa, tuttavia, era stata condannata in concorso con altri soggetti (con sentenza definitiva) a tre ergastoli e trent’anni di reclusione per l’omicidio di Michele Granato con sentenza della Corte d’Assise d’appello di Roma del 12 ottobre 1988, oltre che per gli omicidi del generale dei carabinieri Riziero Enrico Galvaligi e del vicebrigadiere della Penitenziaria Raffaele Cinotti. Dal 1993 la signora è tuttavia latitante, rintanata a Parigi, e l’estradizione chiesta dall’Italia, grazie alla “Mitterand” ha ricevuto un secco no. Da qui parte l’iniziativa del legale comasco, al fianco della sorella dell’agente ucciso. «Sarà durissima e lo sappiamo – ci confessa l’avvocato – Ogni anno il 90% dei ricorsi vengono bloccati. Ed in ogni caso la Cedu non potrà ordinare l’estradizione. Certo che se dovesse darci ragione, si creerebbero le condizioni giuridiche per permettere all’Italia una nuova richiesta di estradizione». Una battaglia difficilissima, insomma, ma che vale la pena combattere.

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