I fratelli professionisti del riciclaggio
«Ecco perché bisognava arrestarli»

Nelle carte del gip del tribunale di Milano le motivazioni del provvedimento - «Sapevano di essere sottoposti a un’inchiesta ma non hanno mai fermato le loro attività»

Como

Neppure dopo essere venuti a conoscenza dell’indagine che li coinvolgeva Oscar e Luca Ronzoni - in carcere dall’altroieri con l’accusa di riciclaggio - rinunciarono mai a svolgere la loro attività tra Milano, Como e Lugano, nelle sedi della società Luga srl e in quella della quasi omonima fiduciaria ticinese Luga Audit & Consulting.

Lo scrive il giudice dell’indagine preliminare del tribunale di Milano Domenico Santoro in calce all’ordinanza con cui - su richiesta del pm Paolo Storari - il tribunale dispone la custodia cautelare in carcere per i due fratelli comaschi, 63 e 53 anni, notissimo fiscalista il primo - Oscar, di fatto domiciliato a Lugano -, altrettanto noto consulente legale il secondo, Luca, residente in città, già vicepresidente del comitato di vigilanza di Infrastrutture Lombarde nonché reduce da un patteggiamento a un anno per frode fiscale giusto un anno fa di questi tempi.

Il giudizio del gip - che rimane un giudizio provvisorio, e che dovrà resistere al vaglio di altri giudici, ferma restando sempre la presunzione di innocenza - è un giudizio piuttosto “tranchant”. Scrive il giudice, in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari, che l’attività di riciclaggio i fratelli Ronzoni la esercitano da quasi un decennio «in maniera che non si ha tema di definire professionale», e che in questo loro esercizio è altrettanto innegabile la profusione di una certa pervicacia, tale da impedir loro di rallentare, se non di fermarsi, neppure quando nei mesi scorsi era apparso chiaro a entrambi che la Procura stava indagando sul loro operato. Il gip fa riferimento a una «chiarissima consapevolezza dell’esistenza di indagini a loro carico». In altre parole: Oscar e Luca Ronzoni sapevano quel che rischiavano ma non rinunciarono comunque alla loro attività, mai. Ed è questo, il cosiddetto “pericolo di reiterazione del reato”, uno dei presupposti - in questo caso unito anche al rischio di compromissione di eventuali, ulteriori prove oltre a quelle fin qui raccolte - che motivano l’esigenza di recluderli.

Peraltro l’indagine è di quelle che rischiano di non esaurirsi in tempi tanto brevi.

Secondo la procura, i Ronzoni potevano (e possono?) avvalersi di una struttura di riciclaggio di denaro su scala internazionale costruita su una moltitudine di società estere e di istituti di credito attivi tra Canada, Gran Bretagna, Austria, Irlanda, Repubblica Ceca, Usa, Svizzera, Bulgaria, Cipro, Mauritius, Bahams e via elencando: servivano tutti, nella ricostruzione che ne fa il pubblico ministero milanese, a emettere fatture per operazioni inesistenti e a incassare milioni di euro che, dopo essere stati a spasso per il mondo, ripartivano alla volta delle loro destinazioni fiscali, ripuliti e a distanza di sicurezza dall’Agenzia delle entrate in qualche paradiso fiscale, a disposizione dei clienti evasori.

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