
Cronaca / Como città
Martedì 08 Luglio 2025
«I guai di Croce Rossa? Colpa delle invidie e Como ha perso tutto»
L’intervista Matteo Fois, ex presidente del Comitato di Como: «Accusato di essermi appropriato di 100mila euro, dimostrerò che sono innocente»
Como
Matteo Fois rompe il silenzio. Da quando si è dimesso da presidente del comitato di Como di Croce Rossa e sono iniziati i suoi guai, ha scelto la linea del silenzio. Ora, che tra pochi mesi dovrà comparire in aula per il processo che lo vede imputato, decide che è il momento di parlare. E lo fa con la Provincia.
Partiamo dall’inizio, le va? Come è entrato in Croce Rossa?
Come volontario alla fine degli anni Novanta. A Lipomo.
Come mai?
Sono stati degli amici che sono entrati in Croce Rossa e mi hanno detto: “Dai, vieni anche te”. E da lì ho iniziato. Ero già rompipalle da volontario.
Sì? Ma in che senso?
Se lei sentisse la presidente dei tempi ero uno che già rompeva perché dicevo che le cose dovevano migliorare.
Un piglio quasi manageriale?
No, ma Lipomo era un comitato fanalino di coda ai tempi. E io avevo voglia di fare.
Nel 2005 lei diventa presidente di Lipomo?
Esatto. L’elezione è avvenuta mentre ero in viaggio di nozze. Ero a New York e mi chiamano questi amici: “Quando torni sei presidente, sappilo”.
È durante la sua presidenza che è nato l’accordo con il Giro d’Italia, con le ambulanze di Lipomo che per anni hanno seguito la corsa?
Sì, esatto. Forse un paio di anni dopo. Alcuni soci fondatori di Lipomo erano appassionati ciclisti e allora mi hanno inzingato: “ma perché non ci facciamo avanti?”. Allora attraverso un medico che conoscevo, mi sono incontrato con il professor Tredici, direttore sanitario del Giro da quarant’anni, e da lì è nata la collaborazione.
L’ultimo commissario del Comitato di Como, Piacentini, lo scorso anno, ha messo la parola fine alla collaborazione...
Che amarezza. Era una convenzione prestigiosa, un lustro per il comitato.
Da Lipomo a Como come arriva?
Il presidente nazionale commissaria il comitato provinciale e mi chiama a guidarlo. Nel frattempo c’era stata la riforma del 2012, che ha privatizzato Croce Rossa. Poco dopo il presidente del comitato di Como si dimette e siccome, per via della riforma, tutti i comitati provinciali sono stati cancellati si è deciso di accorpare Lipomo con via Italia Libera e il nazionale mi ha incaricato quale commissario.
Veniamo ai guai di Como. Dopo il 2015 lei comincia a fare una serie di investimenti importanti, sia sul fronte immobiliare sia sull’assunzione di dipendenti. Quando nasce l’idea di ingrandirsi? E perché?
Tra il 2013 e il 2019 abbiamo avuto anni di grande crescita. Innanzitutto grazie ai volontari, che volevano fare sempre di più ed erano sempre di più: siamo arrivati ad avere un libro soci di mille persone, con 600 volontari molto attivi. Poi c’era sempre una crescente richiesta che andava verso il comitato di Como, sia con convenzioni nazionali, regionali, ad esempio il trasporto organi del Nord Italia. Eravamo una delle poche realtà del Paese dove c’era il numero di uomini e il numero di mezzi per gestire determinate convenzioni. Siamo arrivati a fatturare oltre 7 milioni di servizi.
Poi c’è stato il campo profughi di via Regina...
Esattamente. Ricordiamo tutti l’estate in cui i giardini della stazione si riempirono di migranti. Ero in vacanza in Sardegna, mi chiama l’allora prefetto Corda, e mi dice: “Siamo nei pasticci, come può Croce Rossa risolverci il problema?”. Da lì è stato messo in piedi il campo e abbiamo iniziato a gestire un flusso davvero importante. Nel campo abbiamo dovuto impiegare una trentina di dipendenti. Poi, dopo un anno e mezzo, arriva il ministro Salvini e decide di chiudere il campo.
Qui cominciano le difficoltà economiche?
Ma no, assolutamente. Di certo il campo aveva portato risorse, ma l’impegno gestionale era anche veramente oneroso e complesso. E poi avevamo in essere moltissime altre convenzioni.
Che vi hanno portato a fare investimenti immobiliari che vi hanno esposto moltissimo con le banche: la sede di Lipomo, quella di Lanzo d’Intelvi...
All’epoca c’era un comitato forte con entrate forti. Abbiamo fatto valutazioni circa acquisizione da una parte e costruzione in Val d’Intelvi dall’altro. C’era la possibilità tranquillamente di coprire i costi per entrambe le strutture, c’erano i volontari, c’erano le convenzioni. Peraltro in quota parte le due sedi erano rimborsate da Areu. Quindi eravamo tranquilli. Poi dal 2020 in poi è cambiato il mondo.
Ma le difficoltà sono cominciate almeno un anno prima, con i rimborsi Areu che secondo alcuni comitati voi avreste trattenuto indebitamente...
Sì, nasce tutto da lì. Nel 2019. Nasce tutto da un mal di pancia, iniziato a dir la verità con la privatizzazione della Croce Rossa anni prima, perché alcuni comitati non si sono trovati più in sintonia con Como. Le vere motivazioni, secondo me, nascono più da invidia che ha portato altri comitati a porre in essere azioni ben lontane da quella che dovrebbe essere l’etica della Croce Rossa. Purtroppo chi avrebbe dovuto sedare subito la questione non l’ha fatto.
Parla del comitato nazionale?
In parte, ma soprattutto del regionale che ha anche gettato benzina sul fuoco. Sono arrivate azione legali, pignoramenti, che di fatto hanno paralizzato il comitato di Como perché hanno bloccato i conti correnti. E quando sei esposto con le banche e ti vedi arrivare due o tre pignoramenti di certo non agevola. E di lì è crollato il castello. Ho chiesto l’intervento del comitato nazionale, l’aiuto è arrivato ma ormai troppo tardi.
Sicuramente le tensioni maggiori erano tra voi e Cantù. Giusto?
Sì, nasce tutto da lì. Nasce dal fatto che il comitato di Cantù aveva pretese di incassare somme che non le spettavano, da Areu. Ed emise fatture diverse da quelle che sarebbe dovuto essere.
Accusa grave...
Noi abbiamo fatto un esposto in Procura, finito con un’archiviazione. Con la motivazione che quella fattura era già stata contestata in sede civile e non serviva procedere sotto l’aspetto penale.
E l’aspetto civile com’è finito?
Che il primo commissario dopo la mia presidenza, il dottor Caruso, ha deciso di mettere tutto a tacere e di ritirare il ricorso contro il decreto ingiuntivo del comitato di Cantù. Abbandonando la causa.
Però anche altri comitati si sono mossi contro Como, non solo Cantù.
Nel momento in cui hai i conti pignorati e non puoi pagare quelle che sono le competenze degli altri comitati, allora si crea l’effetto valanga. E tutti si sono lamentati. Il comitato nazionale poi è intervenuto, ma ormai era troppo tardi.
Provo a sintetizzare: secondo lei se Cantù non avesse avviato il contenzioso civile contro di voi, dunque, i conti di Como non sarebbero finiti gambe all’aria. È così?
Non solo Cantù. Però sì: se non fosse partito con il pignoramento di Cantù e poi di tutti gli altri comitati, che erano già pronti perché Fois stava sulle balle ad alcuni presidenti coordinati tra di loro, saremmo stati tranquillamente a galla. Certo, dal 2020 con il Covid è cambiato il mondo e quindi non so se saremmo riusciti a far fronte ai debiti. Però posso dire una cosa: le banche non ci hanno regalato i soldi, quando abbiamo chiesto i mutui hanno voluto approfondire i nostri conti, le entrate, le uscite e hanno concluso che c’erano tutte le garanzie del caso.
Poi lei, personalmente, è accusato di essersi appropriato di oltre centomila euro dei conti del comitato di Como. È così?
Io sono assolutamente ottimista sul fatto che i miei legali riusciranno a spiegare ogni singolo addebito. Io penso che sia nato tutto da semplici dichiarazioni rese da chi è venuto dopo di me, prese per oro colato. Senza però indagare e approfondire sugli addebiti che mi sono stati fatti. Sicuramente ho peccato un po’ di superficialità, nella gestione della Croce Rossa. E ho sbagliato a fidarmi di alcune persone. Per quanto riguarda i fatti in sé posso dire che non mi sono impossessato di nulla. E verranno ampiamente chiariti.
Rimborsi spese, acquisti auto, veicoli dei vigili del fuoco rivenduti, buoni pasto... nulla di questo è vero?
Guardi, faccio solo un esempio sui rimborsi. Mi viene addebitato un discorso di rimborsi non corretti per l’utilizzo della mia auto sulla base di una dichiarazione del commissario Caruso che dice che erano stati registrati come costi indeducibili e quindi si prefigura una appropriazione indebita. Senza entrare nel merito della questione. Una indagine approfondita avrebbe scoperto che sì, Fois ha ottenuto dei rimborsi, ma erano dovuti oppure no? I regolamenti dicono che era possibile chiederli? Ma soprattutto: le missioni le ho fatte? La risposta è sì.
Non è che a un certo punto lei si è fatto prendere la mano, pensando di far carriera?
Assolutamente no. Il comitato dell’epoca e i volontari meritavano tutti gli sforzi fatti. Ma io non avevo ambizioni: non sarei mai andato oltre Como. Mi gratificava, certo, riuscire a creare un comitato così importante. Con il senno del poi, però, posso dire: ma a me chi me l’ha fatto fare?
Senta, se guarda alla Croce Rossa oggi cosa pensa?
Provo dispiacere, perché per 15 anni ho dato tutto me stesso. Mi spiace che i volontari, che tanto credevano nell’associazione, si siano allontanati. Per quanto riguarda Como, vedo una Croce Rossa che ha rinunciato a tutto. Sono riusciti a perdere pure la convenzione 118 della Valle d’Intelvi, che penso sia una delle più ricche della Lombardia.
E a livello nazionale?
La riforma della Croce Rossa è stata solo parziale. L’errore più grosso è stato togliere i comitati provinciali e far eleggere i presidenti ai soci, anziché essere nominati. Oggi il presidente di un comitato può far quel che vuole e prima che Roma se ne accorga, rischia di essere tardi.
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