Il Cardinale chiede la beatificazione di don Roberto: «L’immagine di lui disteso a terra sanguinante è incancellabile»

L’anniversario della morte A cinque anni dall’omicidio del prete in piazza San Rocco, il vescovo di Como annunciato l’inizio dell’iter per la beatificazione

Como

«Ho ancora incancellabile l’immagine della drammatica scena di don Roberto disteso a terra, sanguinante, appena deceduto, sul piazzale di san Rocco, quando subito accorsi, alla notizia sconvolgente di ciò che era successo».

È partito da un ricordo molto personale il cardinale Oscar Cantoni nell’omelia pronunciata ieri sera durante la celebrazione in suffragio di don Roberto Malgesini. Ed è stato proprio nella messa a San Rocco che ha confermato quanto aveva già annunciato a inizio anno, durante la visita pastorale al Vicariato di Como: «È nel cuore di tutti noi, a tal punto che vogliamo dare il via alla sua causa di beatificazione, proprio ora in cui sono scaduti i cinque anni previsti prima di dare inizio a un processo».

Commozione

Una notizia che in tanti aspettavano, a Como e non solo, e che è stata accolta con sincera commozione. «È stupefacente come il sacrificio di don Roberto, il ricordo della sua persona, si sia mantenuto vivo tra noi lungo questi cinque anni, fino al punto che la sua memoria si è divulgata in tutta l’intera nazione italiana e oltre i patrii confini». Proprio lui, «così schivo a parlare di sé, così lontano dal mettersi in mostra, ora è sulla bocca di tutti».

Fare memoria di don Malgesini, che «gode già fin d’ora della comunione con Dio e i santi della Chiesa di lassù», però, non vuol dire esprimere ulteriori elogi: infatti, «non ne ha bisogno», ha detto il vescovo. Piuttosto, «questo profondo legame che si è instaurato tra noi e don Roberto deve suscitare qualche sano interrogativo, che ci metta in discussione».

Esame di coscienza

Un «esame di coscienza», insomma, a partire dalla figura del sacerdote ucciso cinque anni fa. Anzi, dell’«uomo di preghiera», come lo ha definito il cardinale. «È la prima caratteristica da cui non si può prescindere se non si vuole ridurre quest’uomo a un semplice filantropo». Davvero, «posso attestare in verità, dal momento che l’ho conosciuto profondamente, che don Roberto pregava molto», con «totale fiducia filiale nei confronti di Dio».

Ancora, «è stato un uomo di mitezza. Tutti se ne sono accorti e lo hanno riconosciuto tale per la sua semplicità accogliente, per il sorriso sempre sulle labbra, indicante una gioia interiore permanente, frutto della presenza dello Spirito Santo, anche nei momenti di difficoltà». Da qui l’appello a verificare se noi, oggi, lo siamo altrettanto. «Sarebbe uno sfregio alla sua memoria se noi tutti, affascinati dalla personalità di don Roberto, non decidessimo di diventare miti».

Infine, «uomo di speranza», anche e soprattutto nella semplicità di un pasto caldo offerto. Oggi «non ci resta che domandarci se, al di là della ammirazione per questi gesti semplici e immediati, usati da don Roberto, anche noi siamo pronti a gettare, in piena gratuità, semi di speranza nella nostra società, sempre piena di fretta, fondata su relazioni anonime, sulla competitività e incapace di profondi rapporti personali. È quello che ci auguriamo, se vogliamo mantenere viva la memoria di don Roberto e riconoscerlo per quello che è, ossia un uomo di Dio».

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