Il cero del “grazie” al Crocifisso:«Saremo giudicati sull’amore»

Fede Ieri nella basilica di viale Varese la cerimonia della Riconoscenza - Il cardinale: «Conta cercare il bene dell’altro, non la felicità personale»

Il cero della riconoscenza della città al Crocifisso miracoloso è stato offerto ieri pomeriggio dal sindaco Alessandro Rapinese al cardinale Oscar Cantoni alla presenza del prefetto Andrea Polichetti, del questore Leonardo Biagioli e, per la Provincia, Maria Grazia Sassi. Una cerimonia particolare quella che si è tenuta ieri nella basilica di viale Varese che ripropone il ringraziamento per aver protetto la città dai bombardamenti e dalle devastazioni della seconda guerra mondiale. Il 3 gennaio 1943 furono oltre 20mila i comaschi che pregarono il Crocifisso in processione e oltre 35mila sottoscrissero una supplica. Le loro preghiere vennero ascoltate e la città venne risparmiata. Da allora (o meglio dalla fine della guerra) ogni anno, il sindaco dona il cero (che arde per tutto l’anno sull’altare maggiore) a nome dei cittadini.

Il priore, padre Michele Marongiu, non a caso ha parlato di «riconoscenza e gratitudine». Sentimenti, ha spiegato che «proviamo per un fatto accaduto ottanta anni fa, in un’epoca in cui la maggior parte di noi non era ancora nata. Ne siamo venuti a conoscenza grazie ai testimoni che ce ne hanno trasmesso la memoria. È sempre importante conservare il ricordo dell’amore che abbiamo ricevuto». E ancora: «Oggi siamo riconoscenti in modo particolare per la protezione con la quale il Crocifisso ha preservato Como dalle distruzioni della guerra e perché in tal modo Dio ha dimostrato di amare questa città e i suoi abitanti e di volere anche per noi che siamo arrivati dopo un futuro sereno e di pace». Il vescovo Cantoni ha invitato tutti a fare un bilancio della propria vita. «Oggi - ha detto nell’omelia - ci è data l’opportunità, in un tempo di sincerità con noi stessi e prima ancora di sottoporci al giudizio di Dio, ma in vista di ciò, di valutare, fin che siamo in tempo, i criteri con cui abbiamo vissuto finora». E ha spiegato: «Quante persone vivono per loro stesse, per una ricerca della loro personale felicità, nella totale indifferenza e nel pieno distacco da quanto succede attorno a loro, magari solo per il raggiungimento di un certo prestigio, o di un benessere economico, o di una carica onorifica, illudendosi di dare lustro alla propria persona».

Non c’è quindi da stupirsi se «siamo in un momento storico in cui tanta gente ha perso fiducia nelle istituzioni e anche nella Chiesa». Ma, secondo il cardinale, «questo non è proprio il tempo di piangerci addosso o di fare lamenti, né di isolarsi in un pessimismo esasperato, né di fare i depressi». L’unica cosa da ricordare è che «il metro con cui saremo giudicati sarà su quanto avremo amato».

Ecco allora che « in un tempo di grandi crisi affettive è bene chiarire cosa sia amore vero, che non è certo solo un sentimento passeggero, né tanto meno possedere l’altro, fino a dominarlo. L’amore si dimostra non nelle grandi promesse, ma nei dettagli. Nelle situazioni semplici, ma quotidiane, cercando il vero bene dell’altro». Il cardinale in conclusione ha ricordato che «il Signore si identifica con i più miseri, gli ultimi della terra, gli scartati, che noi facilmente ignoriamo o mettiamo da parte. Non contano, non sono importanti, non votano. Eppure, preziosi agli occhi di Dio».

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