Il Ministro dell’Istruzione e il paradosso della formazione tecnica: pochi iscritti ma tanta richiesta sul mercato del lavoro

Intervista Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del merito, a La Provincia: «L nostra riforma sul modello tedesco: seguire una logica di filiera e prendere spunto dal mondo delle imprese»

A fine novembre il ministro Giuseppe Valditara ha sbloccato, in dialogo con la Conferenza delle Regioni, i finanziamenti agli Its con la firma del decreto di riparto di 500 milioni, nel quadro della missione Istruzione e ricerca del Pnrr.

Ministro Valditara, quali sono i tempi di attuazione?

Dovrebbero essere rapidi. Ora è alla registrazione della Corte dei Conti. Le risorse erano state bloccate dal fatto che la gestione precedente del ministero non era riuscita a trovare un accordo con le Regioni. Anzi, in realtà non lo aveva nemmeno più di tanto cercato. Noi le abbiamo messe intorno ad un tavolo per trovare criteri condivisi e l’intesa è stata rapida e positiva.

Ha dichiarato di voler inserire gli Its e gli Istituti tecnici in una grande filiera sul modello tedesco, che tuttavia è inserito in un contesto socioeconomico diverso. La Germania ha un sistema di alternanza scuola-lavoro armonizzato ai servizi per l’impiego, che invece da noi non hanno ancora il rafforzamento promesso. E la Germania ha anche agito sui sussidi di disoccupazione aumentando gli importi e trasformandoli in Rdc, che da noi invece è depotenziato. In che contesto sarà calata la sua riforma?

La riforma dell’istruzione tecnico professionale prenderà spunto dal modello tedesco, ma ricordo che anche il modello svizzero è molto interessante. Aggiungo l’eccellenza del sistema lombardo che a quei modelli si ispira per la formazione professionale. Oltre a seguire una logica di filiera noi dobbiamo avviare un dialogo forte con il mondo delle imprese. La vera sfida è garantire il conseguimento di qualifiche che consentano ai ragazzi di trovare un’occupazione in tempi rapidi e al mondo dell’impresa di dotarsi di occupati per mansioni che ad oggi vanno deserte. Se, come accaduto nel mio recente incontro con Confindustria Brescia, il presidente dell’associazione mi dice che ci sono 100mila posti di lavoro non coperti proprio nella filiera che dovrebbe attingere dall’istruzione tecnico-professionale statale è evidente che ciò rappresenta uno spreco molto grave di risorse umane e di opportunità lavorative per i nostri ragazzi, oltre che di crescita del tessuto imprenditoriale.

Come garantire sicurezza ai ragazzi che vanno in alternanza in azienda?

Proprio pochi giorni fa al ministero c’è stato un incontro con i sindacati e i tecnici del ministero del Lavoro per garantire la sicurezza nell’alternanza scuola-lavoro e per rendere l’alternanza più efficiente.

In che senso?

Purtroppo oggi non c’è un’adeguata formazione dei tutor sia aziendali sia scolastici, in molti casi i ragazzi vengono lasciati soli in azienda. L’alternanza è fondamentale, va salvaguardata contro i tanti tentativi di cancellazione o riduzione. Va conservata però garantendo totale sicurezza e soprattutto deve essere resa efficace nel dialogo fra scuola e impresa.

Nel decreto 50 milioni sono destinati alle nuove Fondazioni Its che dal 2022 abbiano dato il via ad almeno un percorso formativo. Ma il settore ha anche un problema di sedi fisiche. Crede che il Governo debba fare tale investimento?

Investiremo cifre notevoli nell’edilizia scolastica e nella riqualificazione delle scuole. Nel contempo ci impegniamo a favorire il reperimento di sedi adeguate e permanenti per gli Its. Stiamo investendo ingenti risorse per il sistema degli Its e per creare o potenziare i laboratori, anche con la possibilità di interventi infrastrutturali strettamente connessi. Senza un luogo fisico idoneo alla didattica ne risente anche la stessa qualità dell’offerta formativa.

La presenza di sedi dedicate favorirebbe anche l’orientamento sulla scelta degli Its?

Sì. Noi stiamo investendo molto sull’orientamento, inclusa la lettera inviata alle famiglie degli studenti di scuola media in occasione delle iscrizioni al nuovo anno scolastico. Da un lato la scuola deve essere capace di individuare le abilità, i talenti dei ragazzi e, col portfolio formativo, di favorire la scelta dei percorsi più adeguati alle predisposizioni di ciascuno; dall’altro si devono offrire alle famiglie informazioni sui percorsi più richiesti dal mondo del lavoro, presentando anche le opportunità lavorative offerte dal territorio. Con questo modello di orientamento vogliamo da un lato supplire a quella carenza di qualifiche professionali lamentate dalle imprese, dall’altro assicurare ai nostri ragazzi un successo lavorativo decisivo per costruire la propria carriera e vita futura.

Con più sedi fisiche cresceranno negli Its anche i campus tecnologici?

Certo. Su questo punto l’idea è quella di coinvolgere Fondi, banche, imprese e quindi lanciare una grande rivoluzione che metta l’intera formazione tecnico professionale in uno standard formativo di serie A e consenta alle famiglie di scegliere tale percorso con serenità, non come una sorta di ripiego come talvolta è vissuto oggi. Dobbiamo cambiare una certa impostazione valoriale che in Italia è vecchia, ferma al Novecento, secondo cui esisterebbe un solo tipo di intelligenza, quella astratta. Serve riconoscere invece il valore di un’intelligenza pratica, concreta. Ciò che conta è la realizzazione personale, dei propri talenti, al di là della professione svolta. In questo contesto dobbiamo contribuire alla crescita forte del canale formativo tecnico-professionale.

Al forum di Davos raccordo fra istruzione e lavoro ha avuto un panel dedicato a cui lei ha preso parte. Pensa sia opportuno anche in Italia quell’ “insegnamento capovolto” che prevede una riorganizzazione dei tempi e dei luoghi di studio e soprattutto una revisione della docenza, con forte presenza di manager e imprenditori in cattedra?

La vera sfida sarà anche quella di consentire non certo di sostituire il docente dove questi sia già presente, ma di intervenire dove necessitino qualifiche per cui la scuola non è in grado di offrire una professionalità specialistica e così permettere contratti con professionisti presi dal mondo dell’impresa e delle professioni, in particolare nel settore dell’istruzione tecnico-professionale. Più in generale è importante considerare l’importanza della cultura del lavoro anche all’interno della formazione scolastica. Vanno inoltre valorizzate le soft skills, le competenze non disciplinari, che denotano certe capacità, come per esempio la capacità di organizzare e pianificare il proprio tempo lavorativo, di gestire il lavoro di squadra, di adattarsi ad un certo contesto: tutte fondamentali per i ragazzi di ogni percorso di istruzione oltre la scuola dell’obbligo, quindi non solo per quelle tecnico professionali. Quanto agli incontri di Davos è stato importante il pubblico riconoscimento della bontà del nostro percorso riformatore sul tema della istruzione tecnico professionale da parte del segretario al Lavoro americano Marty Walsh, così come la grande consonanza riscontrata con il commissario europeo all’Occupazione e ai Diritti Sociali Nicolas Schmit.

Chi coordinerà esigenze delle imprese e possibilità formative per far funzionare il piano?

Ci sarà la mobilitazione degli uffici scolastici regionali, che potranno coordinare offerta formativa delle scuole e necessità dei territori, con la collaborazione di Tavoli dove far dialogare scuola e associazioni di categoria proprio per costruire tale collaborazione. Ciò è necessario per evitare di realizzare scuole che siano cattedrali nel deserto. Da febbraio inizierò a girare l’Italia per ascoltare i bisogni del mondo della scuola e per capire cosa la scuola chiede al ministero.

Ha in programma visite anche alle realtà scolastiche e formative di Como, Lecco e Sondrio?

Certamente, conto di avere incontri e strategia di ascolto anche sul territorio lariano e sulla Valtellina.

© RIPRODUZIONE RISERVATA