Il ricordo di don Renzo Beretta, ucciso a coltellate 25 anni fa: «Come lui, vicini agli ultimi»

L’anniversario Ieri a Ponte Chiasso il vescovo Cantoni ha officiato la messa per i 25 anni della morte di don Beretta: «Onorarlo significa esporci in difesa dei poveri, degli indifesi, dei senza dimora, degli immigrati, dei carcerati»

C’era più foschia il 20 gennaio di 25 anni fa. Cielo grigio, nubi basse, le luminarie ancora appese, come oggi, lungo sulla strada.

La porticina della chiesa, al civico 268 di via Bellinzona, era aperta. Abdelkarim Lakhoitri – un uomo di 31 anni che appena otto anni dopo sarebbe stato scarcerato ed espulso dal Paese, e del quale nessuno avrebbe saputo mai più nulla – oltrepassò quella soglia e ne raggiunse un’altra, quella della dimora del parroco. Don Renzo Beretta, che sedeva alla scrivania nel suo studiolo, si alzò e gli si fece incontro. Lo conosceva. Si erano già parlati un paio di giorni prima, quando il don era stato costretto a dirgli che no, che nel piccolo centro di accoglienza allestito alla bell’e meglio in chiesa non avrebbe potuto ospitarlo, ché di posti non ce n’erano più. Lakhoitri gli chiese soldi, avrebbe voluto acquistare un biglietto per un treno, ma in realtà nessuno saprà mai cosa si dissero, così come nessuno potrà mai dire cosa passò, in quell’attimo, nella mente del suo assassino (che sarà poi giudicato parzialmente incapace di intendere): Lakhoitri estrasse un coltello, un lungo coltellaccio da cucina, e colpì il prete. Una, due, tre volte. Poi fuggì via.

La morte tra le braccia del vicario

Il primo a giungere in soccorso del sacerdote fu il suo vicario, don Giovanni Meroni. «Voleva solo spaventarmi – lo rassicurò il prevosto che aveva tentato di difendersi con un ombrello – Ma non mi ha fatto nulla». Un paio di minuti più tardi, e prima dell’arrivo dell’ambulanza, il suo cuore squarciato da uno di quei fendenti smetteva di battere per sempre.

Le parole del vescovo

C’era tanta gente ieri sera nella chiesa di Ponte Chiasso a ricordare don Renzo, la cui figura, un quarto di secolo dopo, rimane ancora attualissima in un mondo che da allora è cambiato molto poco, sempre un po’ immobile, e incapace di compiere sui grandi temi della migrazione e dell’integrazione i passi avanti che sarebbero serviti. «La sua testimonianza di fede e di carità – ha detto il vescovo Oscar Cantoni - continua ad affascinare i credenti, molti dei quali, proprio sul suo esempio, si prodigano al servizio del bene comune, vengono in aiuto ai bisognosi nelle diverse forme di servizio, amano la Chiesa e per essa si impegnano a renderla sempre più uno spazio che manifesti la misericordia di Dio nell’oggi della nostra storia. Onorare don Renzo significa per noi oggi accettare il rischio di esporci a difesa e a promozione dei poveri, degli indifesi, dei senza dimora, degli immigrati, dei carcerati, delle donne in difficoltà, di quanti non sono amati o considerati esclusi dalla società. E questo non per demagogia, ma in virtù della fede in Colui che, facendosi uomo, ha dichiarato la dignità di ogni persona, creata a immagine di Dio, redenta dal suo sangue prezioso. Ricordare don Renzo significa aiutarci a ravvivare la nostra fede nel Signore Gesù e a credere che “quello che il vangelo propone risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone”».

Per il cardinal Cantoni, la messa di ieri è stata anche l’occasione per un richiamo fatale non solo al sacrificio di suor Maria Laura Mainetti e del giovane attivista del movimento Mato Grosso Giulio Rocca (valtellinese di Isolaccia, ucciso da “Sendero Luminoso” in Sud America nel 1992) ma anche di don Roberto Malgesini, la cui figura di sacerdote e prima ancora di amico degli “ultimi” non smette di richiamare quella di don Renzo. In un’Italia ancora inesperta, attonita, che da pochissimo iniziava a confrontarsi con le realtà di questi popoli in cammino, il parroco di Ponte Chiasso fu in quel 1999 l’antesignano del messaggio di solidarietà e carità che ieri il vescovo ha voluto rilanciare. Ed è un buon motivo per coltivarne ancora e sempre la memoria.

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