Il vescovo in Duomo: «La santità è una meta della vita cristiana»

Fede Ieri pomeriggio il pontificale di Ognissanti. Il cardinal Cantoni: «Beati i ricchi, i furbi, i violenti...Sono progetti che producono solo vanità e tristezza»

La santità? «La meta della nostra vita cristiana, la pienezza della gioia, la realizzazione della nostra umanità a immagine di Cristo». Sono queste le parole con cui ieri pomeriggio, nel solenne pontificale di Ognissanti, il cardinale Oscar Cantoni si è rivolto ai tanti fedeli riunitisi in Cattedrale per celebrare la solennità del primo novembre.

L’omelia

«Oggi il Signore ci riempie di grande gioia e ci invita a condividerla tra noi, perché è come se squarciasse i cieli e ci mostrasse, in un’immagine corale, in una visione di insieme, la moltitudine immensa di uomini e donne, nostri fratelli e sorelle, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua che lodano Dio e lo acclamano». Così ha spiegato il vescovo all’inizio dell’omelia, facendo sue le parole della prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni Apostolo.

Pur nella consapevolezza che «non è facile godere del bene e della gioia degli altri», dal momento che in genere «siamo più portati a dolerci per le loro difficoltà che rallegrarci delle loro conquiste», il cardinale ha aggiunto che, al contrario, nella Chiesa «siamo invitati a gioire di tutto ciò: siamo un unico corpo e ciascuno partecipa del bene degli altri, perché accomunati in un’unica storia».

La migliore rappresentazione di questa concordia, celeste e terrena allo stesso momento, viene proprio dai santi, «nostri fratelli, così diversi gli uni dagli altri perché provenienti da regioni con tradizioni, usi e costumi differenti, eppure così tanto vicini, in piena sintonia, in perfetta unità, somiglianti all’immagine di Cristo». Da loro – come ha ricordato Cantoni – ancora oggi riceviamo «il segno di una perfetta comunione, frutto della comune appartenenza al nostro unico e sommo Dio».

Ancora, i santi «sono uniti tra loro perché si sono lasciati lentamente trasformare da Gesù, mite e umile di cuore, attraverso una purificazione anche costosa, rinunciando ai giudizi malevoli nei confronti degli altri, al sentirsi superiori, a riconoscere nell’altrui diversità il bisogno della loro presenza complementare». Così, dunque, «non solo hanno imparato a donarsi, ma anche a ricevere e a dipendere gli uni dagli altri, perché noi ci sosteniamo a vicenda», ha spiegato sempre il cardinale nel corso del pontificale.

«Ci insegnano la via»

«Perché il Signore ci mette davanti una simile immagine di cielo, con tutta questa brava gente?», si è domandato il vescovo. E una risposta, in fondo, c’è: infatti, «essi ci insegnano la via per diventare come loro. Sono presentati nella pienezza della gioia come nostri modelli e intercessori: pregano per noi perché ci impegniamo a progredire nella fede, secondo quel modello d’uomo riassunto nelle Beatitudini secondo Gesù».

Soltanto così, insomma, si comprende il senso del testo evangelico proclamato ieri, in cui il Signore proclama beati – tra gli altri – i poveri in spirito, coloro che sono nel pianto e i perseguitati. «Il mondo ci offre ben altre beatitudini, tanto dissimili: beati i ricchi, beati i furbi, i violenti, quelli che si fanno giustizia da soli. Sappiamo, tuttavia, che si tratta di progetti di breve durata e con esiti negativi, che invece di onorare l’uomo ne deturpano il volto e, alla fine, non producono che vanità e tristezza».

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