
(Foto di archivio)
L’intervista Chiara Giaccardi, la sociologa sulle parole del cardinale: «La burocrazia per chi fa accoglienza in città è diventata più complessa»
Ricordando don Roberto Malgesini, il cardinale Oscar Cantoni è entrato anche nel dibattito cittadino sorto intorno alla riflessione di don Giusto Della Valle su «Como città disumana» e sulla risposta che a quelle parole ha dato il sindaco Alessandro Rapinese: «Se don Giusto se ne va, è un bene per tutti». Cantoni ha usato due espressioni, una per descrivere il clima in città («sterili polarizzazioni») e l’altra finalizzata a indicare una strategia permitigarlo («convivialità delle differenze»). Chiara Giaccardi, sociologa comasca e presidente dell’associazione Eskenosen, parte proprio da quest’ultima espressione nella sua analisi delle parole del vescovo.
L’espressione «convivialità delle differenze» è di don Tonino Bello ed è il contrario della polarizzazione, che, purtroppo, oggi è al centro della comunicazione pubblica, fino alla città e ai consigli comunali. Si è disimparato a usare il dialogo, ogni dibattito è un guerreggiare e un delegittimare l’altro mentre il dialogo è la capacità di partire da posizioni apparentemente inconciliabili trovando punti di incontro. Ma non penso che oggi le istituzioni a Como cerchino il dialogo.
Como è una città polarizzata non solo dal punto di vista politico ma anche sociale. C’è la Como dei super ricchi che spendono migliaia di euro tra mance al ristorante e giri in barche private sul lago oppure comprando proprietà immobiliari da rimettere sul mercato a prezzi ancora più alti e super poveri che, attenzione, non sono solo i migranti, ma anche i lavoratori per cui Como è diventata una città invivibile. La polarizzazione è anche nell’accentuarsi della forbice tra le classi sociali.
Dobbiamo decidere se Como è il parco giochi dei super ricchi, un luogo da sfruttare in maniera estrattiva per la sua bellezza ma a vantaggio di pochi, oppure se tentare di costruire una rete di cittadini, associazioni, istituzioni, imprese come voleva essere “Como città fratelli tutti”. Così la si potrebbe rendere più vivibile e anche un modello.
In parte c’entra il Covid, ma poi va anche detto che la grande fatica al dialogo la si trova anche all’interno della comunità cattolica.
A loro direi: rileggete il Vangelo. Gesù non è venuto per i ricchi e per chi va a messa tutte le domeniche. L’individualismo suicida della nostra società, che poi è proprio di tutto l’Occidente, deriva da un’incapacità di cogliere il senso profondo della realtà in cui tutto è interconnesso. E questo ce lo dice anche la biologia, anche la fisica quantistica.
È l’esatto contrario della cultura individualista che ho appena citato e che è profondamente legata a un capitalismo spinto e al ruolo preponderante che ha il digitale.
Il modello è quello dell’emittente che enuncia senza contraddittorio. Ma il dialogo non è questo: è uno strumento che deve essere utilizzato non per dare il contentino a qualcuno ma a beneficio di tutti.
Occupandomi di accoglienza di persone migranti posso dire che la burocrazia è sempre più complessa e sembra fatta apposta, talvolta, per scoraggiare la legalità.
Questa, e non riguarda solo Como, è la grande ipocrisia di chi prima ha colonizzato terre non proprio con violenza, poi ha delocalizzato le imprese e ora si risente perché le persone non se ne stanno a casa loro. Ma siamo stati noi i primi a non starcene a casa nostra: due pesi e due misure.
Sì, ma parla anche di speranza. Voglio citare Vàclav Havel che dice che “la speranza non ha niente a che vedere con l’ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che qualcosa ha senso, indipendentemente da come finirà”. A questo dobbiamo educarci. La politica non può ignorare tutti quei processi che non si sa come andranno a finire ma che bisogna mettere in moto per creare una città più vivibile. Don Giusto ha cercato di fare questo.
Certo, non tutto funziona ma è da ipocriti puntare il dito se non si è nemmeno provato a collaborare. Se ci fosse maggiore corresponsabilità forse alcune pratiche potrebbero essere riviste.
Sì e la ricetta non è cacciare don Giusto, ma creare un tavolo di lavoro con lui e quelli che si impegnano per questo obiettivo.
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