La chat di classe come scena del crimine: ecco l’escalation finita davanti al giudice

Collegio Gallio Come la discussione su dei gruppi di lavoro è diventata un caso giudiziario. L’affondo del padre del ragazzo preso di mira contro i compagni: «Siete un tumore grave»

Come passare da una discussione su whatsapp alla lite, e in un’accusa di parabullismo via smartphone. La vicenda degli studenti del liceo Gallio, comparsi davanti a un giudice dopo essere stati denunciati dalla scuola per asseriti comportamenti vessatori nei confronti di un loro compagno, è emblematica di come l’analfabetismo comunicativo via chat rischi di trasformarsi in possibili reati.

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Per questo vale la pena ripercorrere la genesi della che ha trasformato la creazione di gruppi di lavoro per un compito di scienze in un fascicolo penale.

Tutto ha inizio nel febbraio 2021. La professoressa di scienze assegna agli studenti il compito di formare dei gruppi di lavoro per un progetto. I ragazzi formano una chat whatsapp per decidere come formare le squadre. Uno dei migliori della classe - il ragazzo vittima, secondo le accuse, dei messaggi vessatori - viene conteso da due gruppi: uno di maschi, l’altro di ragazze. Lui opta per quest’ultimo, suscitando le proteste dei compagni.

Il botta e risposta

Ne nasce un botta e risposta che, in un crescendo, finisce per trascendere nei toni (al punto da essere tutti davanti alla Procura per i minori). Parliamo di ragazzi di 17 anni. Il terzetto che voleva con sé il più bravo della classe prova a coinvolgerlo. Ma lui nicchia e respinge l’invito. “Stai facendo razzismo, però. Vai con le femmine perché dici che sono imbecilli i maschi con chi sei... ma bro: mica sei Cicerone, sveglia su” gli contesta un compagno. Un altro lo provoca: “Dillo lampante: mi piace la f...”. E il giovane preso di mira: “Smettila con le offese”. Qualche minuto più tardi scrive ancora: “A me dici che penso che siate fannulloni e poi affermi di aver bisogno di me. Se non siete fannulloni allora non avete bisogno di me”.

I toni si alzano

Un’uscita che scatena la rabbia degli altri. “Credo sia brutto sentirsi così superiore rispetto a noi”. E poi: “C’è qualcuno che vuole un colpo di AK (kalashnikov ndr) nell’arteria”. E il diretto interessato: “Perché mi neghi il libero arbitrio? La mia volontà è di stare nell’altro gruppo e finché abbiamo possibilità di scelta non cambierà”. Al che per tutta risposta un compagno invia l’immagine della falce e martello con la scritta: “Questo è...” e il nome dell’ormai rivale. E poco dopo: “Si crede superiore e poi ha la mentalità di un 09 (uno del 2009 ndr) di strada che va al parchetto con la cassa in spalla”. Tradotto: un cafone. E un altro del gruppo in risposta: “Sono i migliori da accoltellare”. I messaggi trascendono: “Sa (scrive uno studente riferendosi all’autore del messaggio sull’accoltellamento ndr) dove abiti... ti viene contro il cancello con la macchina”. E poi: “Sappiamo tutti che fine fanno gli spavaldi.. tac in fronte secca”.

Due giorni dopo il compagno torna a scrivere in chat e per tutta risposta: “Non parlo con gli snitch” (ovvero spioni). “Ah ah, fatti invitare dalle tue amiche”, cioè le ragazze dell’altro gruppo di studio. In quel contesto viene inviata l’immagine di una bandiera arcobaleno che brucia e poi l’immagine del duce e la sensazione netta della vittima è essersi sentito dare dell’omosessuale e del comunista (e di essersi sentito offeso per questo).

Scrive il padre del ragazzo al centro della battaglia via chat in una lettera di contestazione alla scuola: i tre compagni di classe sotto accusa sono «un tumore grave, un materiale umano compromesso, delle mele marce». Il giudice ha chiesto a tutti di tornare a più miti consigli. A ottobre sapremo com’è andata a finire.

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