La comasca nell’inferno della guerra: «Qui in Israele è come l’11 settembre»

La testimonianza Miriam Bianchi, di Rebbio, da dodici anni vive e lavora a Gerusalemme: «Stavo facendo jogging quando sono iniziate le esplosioni. Questa terra ha bisogno di pace»

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«Quello che sta accadendo è l’11 settembre di Israele». Miriam Bianchi è di Como, ha 42 anni, ma da dodici vive a Gerusalemme. Lavora per la Custodia di Terra Santa, per l’ordine francescano, e la sua casa è ormai diventata la terra che fu di Gesù. Si è sposata, ha un figlio di appena 2 anni e solo una manciata di giorni fa, il 26 settembre, era in Italia, a Rebbio, quartiere dove è cresciuta, per salutare la madre prima di tornare a Gerusalemme.

«Le sirene, poi un boato»

Quando i primi missili sono esplosi, piovendo sulle città di Israele, stava facendo jogging. «Ho sentito le sirene che suonavano per avvisare del pericolo ma devo ammettere di non averci dato troppo peso – commenta Miriam, contattata ieri mattina via telefono – Ho pensato ad una esercitazione, come altre ce n’erano state. Vivo in Israele da 12 anni, ad alcune cose siamo abituati, ma questa volta si è udito subito dopo un botto molto forte. Ho capito a quel punto che stava accadendo qualcosa di diverso, qualcosa di molto brutto e che non avevo mai vissuto».

Quello che stava accadendo è su tutti i giornali del mondo, con l’attacco di Hamas ad Israele partito dalla Striscia di Gaza, lontana ma non lontanissima da Gerusalemme. Tanto che i missili sono arrivati fino alla Città Santa, e il racconto di Miriam – fatto con calma – non è niente altro che un racconto di guerra.

«I missili difficilmente cadono a terra – ci spiega – Le difese (a dire il vero la donna comasca utilizza un nome ben specifico, il sistema anti missilistico “Iron Dome”, ndr) arrivano a colpirli in cielo, ed i botti che sentiamo sono proprio riconducibili a queste esplosioni. Ma ogni tanto qualche missile cade anche a terra».

La corsa nei bunker

«Ieri, domenica, è stata una giornata abbastanza tranquilla a Gerusalemme – prosegue – Oggi invece la sirena è già suonata. Quando suona, abbiamo un minuto di tempo per andare nei bunker. I palazzi ne sono muniti, anche sui posti di lavoro, ci sono pure dei bunker pubblici in cui ripararsi, chi non riesce o non fa in tempo può rintanarsi nella tromba delle scale. Possiamo uscire dopo quattro o cinque minuti, se non udiamo altre sirene».

Dal racconto di Miriam, si capisce come anche Gerusalemme sia una città in guerra. «Le scuole e le università sono chiuse – dice – Gli uffici lavorano al minimo, non ci si può riunire in più di 50 persone. Sono aperte le farmacie e i supermercati. Sono anni che vivo qui, ma c’è molta tensione. È la prima volta che è così intensa. C’è anche una psicosi quando si esce, ci si guarda attorno, si ha timore di quello che potrebbe accadere, è l’11 settembre di Israele».

La Città Santa è ancora piena di stranieri. «Sì, in città ci sono ancora tanti pellegrini – conferma la quarantaduenne comasca – L’aeroporto è nel caos, le compagnie low cost hanno cancellato i voli, non è facile venire via. Al momento io non ci penso, ho deciso di rimanere qui. La guerra è ancora abbastanza lontana. Ma so che colleghi si sono interessati per tornare in Italia. La situazione è molto difficile. Fa male, è dura, sappiamo e sentiamo che c’è molto sotto a quello che sta accadendo, non è solo una reazione contro Israele. Posso solo dire di pregare per noi. Di pregare per la pace. Questa terra ne ha bisogno».

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