«La mia missione al polo: dieci mesi di studio a 100 gradi sotto zero»

L’intervista Gabriele Carugati, 43 anni di Manera, tecnico di laboratorio dell’Università dell’Insubria

In Antartide, al Polo Sud, è iniziata la stagione invernale, con temperature che vanno dai -40 ai -80, se si alza il vento anche -100. Nella stazione Concordia sono rimasti tredici “invernati”, persone impegnate nella ventesima campagna invernale del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide. Professionisti altamente qualificati, fisici, elettricisti, meccanici, chimici, astrofisici, cuochi, idraulici, informatici, elettronici, medici che fino a novembre saranno completamente isolati dal mondo, dato che la base sarà inaccessibile per le rigide temperature.

Tra loro c’è lo “station leader “Gabriele Carugati, 43 anni di Manera”, tecnico di laboratorio dell’Università dell’Insubria. Carugati si è candidato a luglio per la posizione di scientifico per le attività di Chimica/Glaciologia, ruolo che richiede competenze specifiche nella gestione di campionamenti di neve e firn (strati di neve degli anni precedenti), rilievi nivologici e misure dirette di gas e particolato atmosferico. Ha superato la selezione e, dopo l’adeguata preparazione, è partito per la campagna del Pnra, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca e gestito dal Consiglio nazionale delle ricerche per il coordinamento scientifico, dall’Enea per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale per la gestione tecnica e scientifica della sua nave da ricerca Laura Bassi.

Qual è il vostro compito al Polo Sud?

La nostra missione è di tenere in funzione la base Concordia, che si trova a 1200 chilometri dalla costa più vicina. Siamo qui per tenere attivi i 45 progetti di ricerca, in vista della stagione estiva che inizierà a novembre. Da ora e fino a fine novembre saremo da soli, non abbiamo possibilità di andarcene e nessuno può venire. Qui c’è anche una dottoressa dell’Esa che studia come ci adattiamo al freddo, al buio e all’isolamento. Qualche imprevisto può capitare, si spera che siano pochi.

Com’è il clima?

Sono rientrato per scaldarmi, eravamo fuori a -41. L’anno scorso, a luglio, la temperatura più bassa è stata di -82 gradi, ma in base al vento si può arrivare a -100. Speriamo sia una stagione “calda”.

Il vostro lavoro si svolge principalmente all’esterno?

Dipende dalle attività. Per alcune dobbiamo uscire tutti i giorni, altre prevedono uscite due o tre volte alla settimana. Tendenzialmente ci si prepara all’interno con il materiale per il campionamento, provette e filtri per esempio, poi si esce. Ora sono in un laboratorio esterno a 5 metri sotto neve e ghiaccio, dove teniamo le attrezzature e ci riscaldiamo. Se c’è vento, comunque, non si esce.

Come vi siete preparati per questa missione?

Gran parte dell’addestramento è sull’aspetto psicologico. Ognuno ha la sua stanza: quando eravamo una settantina, uno dei problemi era la privacy. Poi siamo rimasti in 13 e gli altri se ne sono andati con voli specifici per le diverse destinazioni: Zucchelli e Dumont D’Urville. Una volta avuta l’abilitazione professionale e fisica, comunque, una settimana di addestramento è abbastanza. Si fanno dei corsi, sia per gestire gli inconvenienti che sulla parte psicologica e legata allo stare insieme.

Qual è il suo ruolo alla Concordia?

Io mi occupo della gestione della base, ho l’incarico di station leader. Devo coordinare tutto, tenere le fila dei progetti e della manutenzione della base, fare report e spedirli. Sono anche a disposizione del medico Esa per raccogliere dati per l’Agenzia Spaziale Europea, dati che saranno utilizzati per migliorare le condizioni sulla Stazione Spaziale Internazionale in orbita e per una futura base su un altro pianeta.

Ora siete completamente isolati, non vi spaventa?

Da adesso in poi non c’è la possibilità di andare via e nessuno può arrivare dall’esterno. Abbiamo un medico specializzato in primo soccorso, ma dobbiamo stare attenti a evitare situazioni di rischio e pericolo. Fare gli eroi o essere superficiali qui vuol dire farsi male, non è come a casa che arriva l’ambulanza. Abbiamo un piccolo ospedale attrezzato, ma c’è un solo medico. C’è il collegamento Internet dedicato con un ospedale francese, in caso di emergenza ci si mette in contatto con lo specialista di turno.

Come sfruttate il tempo libero?

Lavoriamo sette giorni su sette, ma abbiamo tempo libero all’interno della giornata, una volta organizzato il lavoro. Generalmente svolgiamo le faccende di casa.

Ha sempre avuto questo sogno nel cassetto?

Proprio così. Da piccolo guardavo i documentari e pensavo che un giorno o l’altro avrei dovuto fare questa cosa, ci sono riuscito. Il percorso parte dalla selezione: c’è una chiamata a livello nazionale, se si passa la selezione c’è la visita medica, sia fisica che psicologica, poi l’addestramento e si parte. Una cosa che ci tengo a dire è che per arrivare qui non bisogna per forza essere uno scienziato, qui ci sono tutte le professioni, bisogna avere tanta passione, metterci impegno e scommettere su se stessi.

Suo figlio come l’ha presa?

Lui era l’unico che aveva voce in capitolo. Mi ha detto: è il sogno della tua vita, vai e fallo. La connessione comunque è buona, ci sentiamo sempre. Spero di svolgere egregiamente il mio lavoro e portare a temine la missione nel migliore dei modi.

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