La strage di Erba secondo la difesa. Ecco come sarebbe andata «veramente»

Verso l’udienza I killer già in casa, fuggiti calandosi dal terrazzino con la palazzina in fiamme. Proviamo a verificare se la pista alternativa dei legali di Rosa Bazzi e Olindo Romano regge

Martedì prossimo gli avvocati di Olindo Romano e Rosa Bazzi proveranno a ribaltare la condanna contro i loro assistiti. E, per farlo, cercheranno anche di smontare la ricostruzione della strage di Erba fatta dagli investigatori e che ha convinto già almeno 21 giudici. Vale la pena, dunque, ricostruire la dinamica della strage così come la immagina la difesa. Per verificare se è una tesi che davvero regge.

L’attesa e l’aggressione

Primo punto: gli assassini si trovavano già all’interno della casa di Raffaella Castagna nel pomeriggio dell’11 dicembre 2006. Addirittura erano lì alle 17, arrivati quando ancora non era buio, non visti da nessuno. Avevano le chiavi di casa, sostiene la difesa. E si sono trattenuti all’interno dell’appartamento per ben tre ore per aspettare pazientemente il ritorno a casa delle loro vittime. Quindi: o gli assassini, pur avendo (secondo la tesi della difesa) le chiavi di casa e quindi -si deve supporre - in rapporti con la famiglia Marzouk-Castagna, non conoscevano gli spostamenti, peraltro quotidiani, di Raffaella, o hanno comunque deciso di trascorrere ore in attesa della strage rischiando anche di essere visti, considerato che sono entrati alla luce del giorno.

Secondo punto: l’aggressione. Alle 20 Raffaella, la mamma Paola Galli e il figlio Youssef arrivano a casa. I killer - dice la difesa - sono all’interno. Raffaella apre la porta dell’appartamento, fa entrare il figlio e la madre poi entra lei. Solo quando chiude la porta - si deve supporre - gli assassini escono allo scoperto. Ma da dove? Se si trovavano in cucina, sarebbero stati visti subito, quindi è lecito attendersi che quantomeno Raffaella avrebbe cercato la fuga per le scale verso il cortile per chiedere aiuto. Ma anche se si trovavano in camera da letto, che è proprio di fronte alla porta d’ingresso, la sequenza del ritrovamento dei corpi appare strana: sarebbe stato più logico attendere che anche la mamma di Youssef passasse oltre verso la cucina prima di uscire allo scoperto e colpire.

Terzo punto: l’aggressione a Valeria Cherubini e a Mario Frigerio. Il primo quesito a cui dare risposta è: perché degli sconosciuti (secondo la difesa a colpire potrebbero essere stati nordafricani legati allo spaccio di droga con Azouz) avrebbero dovuto attardarsi a uccidere due persone che mai li avrebbero potuti indicare come gli autori della strage? E ancora: se Rosa Bazzi e Olindo Romano non sono ritenuti idonei (per così dire) a compiere una strage simile più nelle corde di killer avvezzi a uccidere, com’è possibile che personaggi così non siano riusciti a togliere la vita alla signora Cherubini, che nonostante le 48 coltellate subite è morta per intossicazione da monossido.

La fuga

Ma il punto più critico è la via di fuga. Gli assassini si trovavano in casa dei Frigerio all’arrivo dei vicini di casa Bartesaghi e Ballabio. Con la palazzina già invasa dal fumo, al punto che i due soccorritori sono costretti a desistere e a uscire in attesa dei vigili del fuoco (e Bartesaghi, ricordiamolo, è un pompiere volontario). I killer sarebbero dovuti rientrare nuovamente nell’appartamento della strage, ormai avvolto da fiamme e fumo, per raggiungere la portafinestra sul balconcino che dà su via Diaz. Quindi, coperti di fuliggine e comunque sporchi di sangue, calarsi dal balconcino su via Diaz (strada comunque di passaggio delle auto) e allontanarsi. Il tutto senza essere visti da nessuno (a meno di non dar credito alla testimonianza di un amico di Marzouk che ha riferito di aver visto Pietro Castagna).

Se così fosse, in ogni caso, per saltare oltre la ringhiera del balconcino gli assassini avrebbero dovuto spostare una grossa pianta, che si trovava su un carrellino con ruote e che, nonostante questo, non è stato spostato. Pianta che non è risultata rovinata o piegata. Successivamente si sarebbero dovuti calare dalla grondaia, con le mani sporche di sangue, senza lasciar tracce. Traccia di sangue, il sangue di Valeria Cherubini, che invece si trova clamorosamente evidente sul pomello del portoncino che dà sulla corte interna, a soli trenta passi dalla casa dei coniugi Romano.

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