Le denunce per lo scandalo delle ceneri
Il giudice: «Impossibile trovare il Dna»

Il tribunale di Biella archivia. Si erano mossi i familiari dei defunti, 230 comaschi - Secondo il medico legale, la cremazione rende impossibile l’estrazione dei profili genetici

Como

Il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Biella ha disposto l’archiviazione delle tante denunce (circa 480) sporte dai familiari degli altrettanti morti le cui salme furono bruciate nel forno crematorio del capoluogo di provincia piemontese.

La vicenda, lo ricordiamo, riguardò anche la cremazione di 230 comaschi finiti da quelle parti perché l’impianto del cimitero monumentale di via Regina aveva smesso di funzionare. Per quei fatti lo scorso ottobre erano stati condannati a cinque anni di carcere i due fratelli che gestivano l’impianto, accusati di avere bruciato più bare insieme le une con le altre, e di averlo fatto al fine di aumentare resa, produttività e ricavi del loro business.

La Procura, al culmine dell’indagine, aveva recuperato circa 320 chili di cenere e ossa poi affidati all’anatomopatologa Cristina Cattaneo, dalla cui consulenza era emerso trattarsi di resti umani.

Secondo l’esperta della procura, però, l’identificazione di quei resti non sarebbe stata mai possibile, neppure attraverso l’estrazione del Dna. «Considerate le alte temperature a cui un corpo viene esposto durante la cremazione e quanto gli studi in letteratura definiscono a riguardo, l’estrazione e la caratterizzazione del Dna da corpi altamente combusti risulta essere difficoltosa - ha scritto l’anatomopatologa nella sua consulenza -, altamente improbabile da resti cremati. In aggiunta, poiché la molecola si presenta degradata, possono insorgere ulteriori problemi durante le indagini genetiche. Tra questi, il potenziale rischio di contaminazione e la possibilità di estrarre Dna esogeno, non appartenente al soggetto cremato».

Ad essere qualificate come persone offese sono stati soltanto i parenti di pochi defunti le cui bare compaiono nelle immagini a suo tempo riprese dalle telecamere nascoste dei carabinieri nel corso della loro indagine: in qualche circostanza i filmati mostrano infatti i numeri identificativi delle bare, potendosi così identificare con assoluta certezza anche le singole salme. Ma sono casi rari, la maggior parte di quei resti è destinata a rimanere anonima per sempre. Era stato li Codacons ad avviare una sorta di class action tra i parenti delle vittime, inducendo molti di loro ad affidare le urne in cui avrebbero dovuto essere custodite le ceneri dei propri congiunti a un laboratorio di genetica indicato dall’ex generale del Ris dei carabinieri Luciano Garofalo. Il laboratorio chiese a ogni nucleo familiare la somma di 2.400 per poter procedere all’estrazione del Dna e, quindi, al raffronto con quello dei parenti, per confermare o meno che si trattasse davvero delle ceneri di un congiunto e non di un estraneo. Non è bastato a convincere il tribunale.

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