L’ex assessore comunale vittima della ’ndrangheta scrisse una lettera alla mamma del suo aguzzino: «Basta o lo denuncio»

Lomazzo Il racconto di Domenico Ficarra, detto “Corona”, durante il processo per ’ndrangheta: «Era firmata da Pravisano, ma l’aveva scritta un mio parente». All’ex assessore era stato sottratto oltre un milione di euro

La mamma è sempre la mamma. Anche quando si parla di malavita organizzata di stampo calabrese. Si è toccato anche questo argomento, seppur in modo marginale, nell’udienza che si è tenuta in tribunale a Como con al centro dell’attenzione le infiltrazioni della ’ndrangheta nella nostra provincia, con storie di estorsione, droga, minacce per vessare imprenditori, artigiani e chiunque potesse fornire anche un minimo spunto di interesse per la criminalità.

Giovedì a parlare a lungo è stato Domenico Ficarra, detto “Corona”, nato a Saronno ma cresciuto a Gioia Tauro prima di trasferirsi al Nord per portare avanti una attività fruttuosa, quella del recupero crediti e delle estorsioni.

In aula

«In Calabria mi vedevano girare con la Ferrari, ero pieno di soldi, mi chiesero cosa facevo e dissi che lavoravo con le cooperative», ha detto il trentottenne rivelando che altri parenti poi – visto il giro di affari – salirono in Lombardia. Ma il lavoro con le cooperative teneva celato, per almeno due anni e mezzo, anche l’attività di estorsione a chi quelle società gestiva, ovvero l’ex assessore del comune di Lomazzo – ed ex funzionario di banca – Cesare Pravisano.

Le rivelazioni

«Gli abbiamo estorto oltre un milione di euro», ha candidamente ammesso sempre in aula Ficarra detto “Corona”, raccontando per filo e per segno come avvenivano prima le intimidazioni e la sottrazione di contanti e assegni. Titoli che poi giravano di mano in mano: «Io li davo ad altri miei parenti... Come funzionava il giro? Se erano assegni per centomila euro io me ne facevo dare dai miei parenti 60 mila in contanti e poi l’assegno lo cambiavano loro, così ci guadagnavamo tutti». La fratellanza malavitosa, insomma.

Ma anche la gallina dalle uova d’oro ad un certo punto non è più utile e non interessa più da un punto di vista economico.

«Aveva scritto una lettera a mia mamma, ma insieme a un mio parente»

E per farlo capire, si può anche arrivare a scrivere alla mamma del proprio aguzzino. Quello che fece, secondo Ficarra, proprio Pravisano: «Venni a sapere che aveva scritto una lettera a mia madre – ha raccontato “Corona” - Diceva che se fossi andato avanti mi avrebbe denunciato. Ma quella lettera Pravisano l’aveva solo firmata, l’aveva invece scritta un mio parente che stava entrando con lui nelle cooperative».

Non è stato detto, in aula, se la madre giocò un ruolo in questa vicenda. Quello che è stato detto è che le estorsioni passarono a colpire altri soggetti, almeno cinque quelli citati, tutti residenti tra il canturino e la Bassa comasca. Ed i modi per consegnare il denaro richiesto erano dei più insoliti: «Gli chiedemmo 200 mila euro – ha raccontato ancora Domenico Ficarra – Ce li diede nella scatola di un rasoio da barba, in tagli da 500 euro. Cosa aveva fatto? Aveva detto che eravamo pericolosi, quindi chiedemmo anche a lui 200 mila euro sennò sarebbe finito male».

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