Cronaca / Como città
Venerdì 07 Novembre 2025
L’identità europea tra ebraismo e Islam
Il saggio della storica franco-tunisina Bessis apre il dibattito sul legame fra due religioni che vengono da Oriente e la cultura occidentale. La fusione appare in entrambi i casi un po’ forzata
In un suo recente libro, “La civilisation judéo-chrétienne. Anatomie d’une imposture” (Parigi, edizioni Les liens qui libèrent), la storica Sophie Bessis afferma che parlare di civiltà giudaico-cristiana sarebbe, molto semplicemente, cedere a un imbroglio. A suo parere l’idea di un legame tra ebraismo e cristianesimo sarebbe contestabile per una serie di motivi.
Innanzi tutto l’aggettivo “giudaico-cristiano” si sarebbe imposto solo a partire dagli anni Ottanta, quale conseguenza del convertirsi dell’antisemitismo europeo in giudeofilia, all’indomani della Shoah e dello scandalo del nazismo. L’universo ebraico, in passato associato all’Oriente, sarebbe quindi diventato parte integrante del mondo di cultura europea.
Per giunta, secondo Bessis chi difende i tratti giudaico-cristiani dell’Occidente lo farebbe in nome di una “sostituzione”, ossia sminuendo le radici greco-romane: una tesi, questa, che però è assai debole. La tradizione europea poggia sul cristianesimo e quindi anche sul Vecchio Testamento, ma egualmente sulla filosofia e sul diritto, che devono molto alla classicità. Sottolineare l’importanza delle categorie mutuate dalla religione non significa necessariamente sminuire le altre componenti, anche perché il cristianesimo s’è fatto diritto (si pensi anche solo al diritto canonico) e s’è fatto pure filosofia (basti porre mente alla Scolastica).
I secoli dimenticati
Nel rigettare il giudeo-cristianesimo Bessis rievoca cose ben note e in particolare il plurisecolare antisemitismo di una parte della storia cristiana. Quello di cui non sembra cogliere la portata è però un fatto cruciale: e cioè che proprio nei due secoli che hanno preceduto la catastrofe del totalitarismo s’è assistito in Europa a una progressiva integrazione delle persone di origine ebraica nei valori occidentali, connessi all’eredità cristiana. Non a caso, molti ebrei tedeschi – ma lo stesso vale in Italia e altrove – rimasero spiazzati dalle persecuzioni razziali dato che da tempo avevano smesso di considerare le loro origini come un fattore di separazione e isolamento.
La Bessis punta invece a inchiodare il mondo di tradizione cristiana ai suoi comportamenti antisemiti dei secoli scorsi e a sminuire l’importanza della lezione biblica entro il cristianesimo, oltre che a marginalizzare l’apporto degli intellettuali ebrei (Baruch Spinoza, solo per fare un nome) alla costruzione dell’Europa moderna, quale luogo di tolleranza e pluralismo. In questo modo, l’aggettivo “giudaico-cristiano” diventa uno strumento non già per riferirsi a un’identità (perché l’Europa ha una sua storia), ma invece per perpetuare logiche coloniali.
Il terzo escluso
Con una certa scaltrezza, se da un lato l’autrice afferma di voler difendere l’ebraismo dal rischio di un assorbimento nella civiltà europea, d’altro lato legge nella prospettiva giudaico-cristiana un dispositivo volto a espellere chi non discende dall’ebraismo e neppure dal cristianesimo: in particolare, il mondo arabo-musulmano. Le parti più dettagliate del testo sono proprio dedicate a questo e la loro lettura evidenzia come l’autrice sia disturbata dall’esclusione della religione musulmana: «l’Islam in effetti diventa, grazie a questa costruzione, il terzo escluso della rivelazione abramitica».
C’è da stupirsi di tale stupore. Fa un poco sorridere come Bessis sottolinei l’importanza di Maria nel Corano o il ruolo dell’arcangelo Gabriele, dato che il rapporto di un cristiano con la Bibbia ebraica è per ovvie ragioni ben diverso da quello che intrattiene con i testi sacri dell’Islam. Né sembra cruciale soffermarsi sulla personalità di Averroè, quale scopritore di Aristotele, oppure ricordare come oltre un millennio fa vi fossero legami importanti tra le popolazioni arabe e quelle dell’Antichità ellenistica. In effetti, tutto ciò è irrilevante per chi s’interroghi su cos’è oggi la civiltà di tradizione europea: soprattutto alla luce di come le società arabe e musulmane si sono sviluppate nel corso della storia moderna e contemporanea.
Operazione ideologica
C’è comunque un passaggio del testo che aiuta a collocare nella giusta luce l’intera operazione ideologica di Bessis, dove si afferma che «l’Islam è diventato da quarant’anni una religione europea o piuttosto, è questo il problema, una religione installata in Europa ma considerata da una parte della sua popolazione come ontologicamente straniera». Nessuno può negare che in Europa ci sia una significativa presenza musulmana (molto superiore a quella ebraica: nell’ordine di venti volte), ma è anche chiaro come l’Islam abbia poco a che fare con l’identità, i valori e la storia degli europei, oltre che con la loro autorappresentazione.
Le tesi di questo testo, dunque, appaiono derivare da qualcosa di ben noto: la frustrazione di un mondo arabo – la famiglia della Bessis viene dalla borghesia ebraica di Tunisi – che è ormai molto presente in Europa, ma che non è a pieno titolo parte della sua storia (nonostante tutte le acrobazie che si possono tentare). Questo basta a riscrivere il passato e a riformulare l’identità europea? Assolutamente no.
Per giunta, quanti si richiamano alla tradizione giudaico-cristiana lo fanno per evocare una civiltà costruita a partire da categorie religiose ben definite (un Dio che crea il mondo e lo consegna agli uomini, liberi di agire bene oppure male) che poi si sono tradotte in relazioni civili basate sul rispetto reciproco, sulla tolleranza e sulla libertà di scegliere la propria fede. L’Europa di oggi deve essere in grado di aprirsi ai non-europei, senza dubbio, ma senza negare cosa è stata.
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