L’indagine sierologica su pazienti lariani
Dopo la polmonite più forti contro il virus

Test su 518 persone: anticorpi in tutti i malati in cui la Tac ha accertato la patologia Trovati anche in un terzo di chi ha convissuto con gli infetti.

Il 100% dei pazienti che hanno superato la polmonite interstiziale ha sviluppato gli anticorpi che combattono il virus. Un terzo dei conviventi degli ammalati a casa ha eretto delle difese immunitarie. Questi sono alcuni dei primi risultati contenuti in un’indagine epidemiologica avviata da un centinaio di medici di medicina generale sul nostro territorio. È una ricerca che a breve verrà pubblicata sulle riviste scientifiche fatta in parallelo ai test sierologici con prelievo avviati dall’Ats su pazienti selezionati. Il campione significativamente statistico è composto da 518 persone, poco più della metà comaschi, i restanti varesini.

I test effettuati

Il test utilizzato per l’indagine si chiama VivaDiag, è un test rapido, ovvero una gocciolina di sangue dal dito su una striscetta di carta. Funziona così, se il risultato è negativo vuol dire che il soggetto non ha incontrato la malattia e non ha sviluppato delle difese per contrastare il virus. Se il risultato è positivo invece la persona si è ammalata ed ha prodotto degli anticorpi di due diverse tipologie. Le IgM, ovvero le immunoglobine che vengono prodotte nei primi momenti dell’infezione e le IgG, che vengono create successivamente e che, tendenzialmente, rendono immuni al virus. Attenzione però, non si sa quanto a lungo e questo vuol dire che i test non sono affatto un patentino d’immunità. Occorre anche dire che i test rapidi sono meno affidabili dei test sierologici, che vengono eseguiti con un vero prelievo.

Come detto il risultato più significativo dell’indagine è che tutti i pazienti che hanno avuto una polmonite interstiziale accertata da una Tac hanno sviluppato entrambe le tipologie di anticorpi. Superare indenni le manifestazioni più gravi del Covid, quindi, insegna al nostro organismo ad erigere delle solide barriere. Un altro risultato interessante dell’indagine è che il 31,9% dei conviventi che hanno trascorso la quarantena con degli ammalati ha sviluppato gli anticorpi, sempre di entrambe le tipologie. Per ammalati s’intende persone con sintomi tipici e duraturi comprese forme di polmoniti, non per forza soggetti positivi al tampone visto che il tampone non ha raggiunto in maniera sistematica la popolazione.

I risultati ottenuti

Da questa prima ricerca epidemiologica risulta che il 55,3% dei pazienti con infezioni alle vie respiratorie a lenta risoluzione e sintomi come febbre e tosse con una durata inferiore ai dieci giorni ha creato entrambe le tipologie di anticorpi. Una percentuale simile, il 51,4%, con le stesse manifestazioni per una durata maggiore di dieci giorni, ha prodotto sia gli Igg che gli Igm.

Una parentesi, se i test sierologici danno esito positivo l’indicazione è quella di fare il tampone, l’unico strumento in grado di fotografare la presenza del virus nelle mucose. Infatti chi sta ancora creando degli anticorpi per combattere contro il virus potrebbe essere contagioso. «Il dato più interessante – commenta Gianni Martino Clerici, uno dei medici di famiglia che ha partecipato alla sperimentazione – è la conferma della creazione degli anticorpi nei casi di polmonite interstiziale». «È solo una piccola prima indagine – dice la dottoressa varesina Giovanna Scienza – non un patentino d’immunità. Era interessante usare i test rapidi a fini di ricerca».

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