Malore all’hospice, morta l’infermiera. Era fuggita dai cecchini di Sarajevo

Il lutto Mirka ha avuto un arresto cardiaco mentre si trovava al lavoro venerdì al San Martino. L’ex collega: «Una donna dal cuore d’oro». Aveva 69 anni, ma non voleva andare in pensione

A Sarajevo, sotto il fuoco dei cecchini, aveva soccorso e salvato decine di bambini. Quando la guerra si è fatta carneficina, è fuggita ed è arrivata a Como, da rifugiata. Qui si è rifatta una vita, ha ottenuto il riconoscimento del titolo di studio di infermiera e negli ultimi 15 anni (abbondanti) ha accompagnato migliaia di comaschi ricoverati all’hospice San Martino verso l’ultimo viaggio. Alleviando le sofferenze loro e dei famigliari. E proprio lì, tra le stanze in cui la vita finisce tra dolcezza e abbracci, Mirka è morta, com’era vissuta: con il camice addosso.

La guerra e la fuga

Non ce l’ha fatta l’infermiera che, venerdì pomeriggio, ha avuto un arresto cardiaco mentre si trovava al lavoro, nelle corsie del San Martino. Rusmirka Lopcalija aveva 69 anni «e qui all’hospice la chiamavamo tutti affettuosamente “la nonna”» ricorda Cristian Belloli, direttore della struttura che si occupa del fine vita dei pazienti. Mirka, origini bosniache, studi a Sarajevo dove la guerra l’ha costretta alla fuga, è andata in arresto proprio davanti a lui: «Abbiamo subito cercato di soccorrerla - racconta - e di rianimarla. Poi è stata portata al San Raffaele in elicottero, dove però nulla hanno potuto i sanitari per salvarla. «Con la croce rossa da infermiera sulle spalle - ricorda ancora Belloli - Mirka, a Sarajevo, ha prestato soccorso a chi veniva colpito dai cecchini. Aveva la professione nel cuore, e lo dimostrava ogni giorno al lavoro».

All’hospice era arrivata nel 2007. Era il mese di febbraio. E con lei, proprio in quei giorni, entrava in servizio anche Marta Bianchi, ora Oss al Sant’Anna: «Una donna forte, dal cuore d’oro - la ricorda - Ha avuto una vita difficile. Ha perso il marito in un incidente d’auto, da giovane. E quando è scoppiata la guerra, ha perso le tracce della figlia. L’ha ritrovata dopo alcuni anni, anche lei era riuscita a trovare rifugio in Italia, in Toscana dove ancora oggi vive».

Dal Valduce all’hospice

Prima di approdare all’hospice, Mirka ha lavorato all’ospedale Valduce. Ed è stata una delle prime infermiere del reparto di cardiologia dell’ospedale di via Dante: «Ancora oggi - ricorda ancora Marta Bianchi - c’è una sua foto, il giorno dell’inaugurazione del reparto».

Viveva nelle case della curia, a ridosso dell’Arcivescovado: «E la sua famiglia eravamo noi, dell’hospice». Una certezza anche per Cristian Belloli: «Il suo è un destino che riempie di ulteriore significato questi luoghi. Qui, dove la battaglia è contro la sofferenza e la morte non vince, il destino e l’esempio di Mirka rimarrà sempre nei nostri cuori».

A 69 anni ancora al lavoro: attaccamento al camice, ma non soltanto. «Quante volte - ricorda Marta Bianchi - le abbiamo detto: “Mirka, ma non è il momento di andare in pensione?”. Purtroppo non ha mai ottenuto il ricongiungimento con gli anni lavorati in Bosnia e, di conseguenza, i vent’anni di lavoro qui a Como non gli consentivano una pensione adeguata per vivere».

Anche Giuseppe Landi, sindacalista della funzione pubblica della Cisl del Laghi, ha conosciuto l’infermiera dell’hospice e pure lui conferma: «Quando le chiedevo perché non andava in pensione mi rispondeva: “Non ce la farei con quello che mi darebbero”. E questo deve far riflettere: purtroppo nella sanità, soprattutto per chi lavora per le cooperative, gli stipendi sono troppo bassi. A fronte di un lavoro che richiede un enorme impegno». E, soprattutto, un cuore grande: «E Mirka lo aveva. Era un generale - conclude Marta Bianchi - ma un generale dall’animo gentile. Ci mancherà».

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