Marcia della pace
per don Roberto
«Ferita aperta per Como»

Don Giusto e un gruppo comasco alla camminata da Perugia ad Assisi. «Far memoria di ciò che ha fatto significa dare un tetto a chi è in strada»

«C’è ancora bisogno per la nostra città di Como e per tutte le nostre città d’Italia di un tetto sotto il quale la gente possa passare l’inverno, penso ai senza fissa dimora. Far memoria di don Roberto, ricordarselo, significa impegnarsi per dare un tetto in questo inverno a tutti, un luogo sicuro, un luogo di cura».

Vivere il Vangelo

Don Giusto Della Valle alla Marcia della Pace Perugia-Assisi, dedicata quest’anno a don Roberto Malgesini e a Willy Monteiro Duarte, ha scelto di raccogliere l’eredità del sacerdote, ucciso a San Rocco, il 15 settembre scorso, facendosi cassa di risonanza del suo modo di vivere il Vangelo. Davanti al Palazzo dei Priori di Perugia non solo ha ricordato l’uomo e la sua opera, il suo stile nell’incontro con l’altro, la tenerezza, la cura, la capacità e la grande forza di far sentire ognuno unico e di tessere rete fra tutti. Ma è andato oltre. Ha chiesto un impegno quotidiano, anche alle istituzioni: accorgersi che la fragilità fa parte della nostra società e non bisogna lasciarla ai margini o girare la faccia dall’altra parte.

La marcia, che in realtà si è sviluppata come una catena umana statica, si è ispirata ai sentimenti della cura per la persona e per il creato, portando omaggio ai buoni e ai giusti, diffondendo testimonianze di veri costruttori quotidiani di pace, come don Roberto.

«Come un agnello che è condotto al macello così è stato ammazzato don Roberto, da una persona che conosceva e che più volte aveva aiutato, che lo ha finito con ferocia e premeditazione – ha raccontato don Giusto alla piazza – Don Roberto si è accasciato al suolo, ha urlato. Chi abitava in casa con lui è accorso, ha cercato di dargli un aiuto, ma nessuna parola è uscita dalla sua bocca. È morto dissanguato subito. La ferita della sua morte è una ferita a aperta, la città di Como è ferita, noi tutti, la sua famiglia. Da questa ferita può sgorgare qualcosa di nuovo, ma non sappiamo ancora se è in cammino. È morto in strada, ucciso in strada, la gente va a far memoria di lui in strada, in una piccola piazza, piazza San Rocco, a Como molto discussa, anche ingiustamente. Ecco, il tempio in cui andare a visitare don Roberto è la strada».

Proprio per questo don Giusto Della Valle da Assisi, dove si trovava con una quindicina di comaschi (tra gli altri il consigliere comunale Bruno Magatti), accoglie la proposta che già fece don Diego Fognini dalle pagine di Diogene, pochi giorni dopo il delitto.

Il gesto

No comment, invece, sul no del Comune all’Abbondino. «Sarebbe davvero bello che dove è morto don Roberto fosse posata una panchina, simbolo dell’incontro con l’altro che tanto lui cercava, lui cercava nell’altro il riflesso di Dio e non solo negli ultimi, era un prete di tutti. Creare in quel luogo un giardino, uno spazio aperto di aggregazione condivisa, sarebbe consono a come lui ha vissuto il Vangelo. Mi auguro che la sua morte improvvisa di cui sentiamo la ferita, di cui non siamo guariti e spero non guariremo mai, possa produrre in noi il cambiamento, che la sua delicatezza e la sua tenerezza, il suo stile nel prendersi cura dell’altro, diventino nostri».

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