«Mia moglie violentata al lavoro. L’amore della famiglia e un maresciallo dal cuore d’oro ci hanno salvati»

La testimonianza Il racconto di un uomo, la cui consorte ha denunciato di aver subito abusi sessuali dal datore di lavoro

Ci ho pensato. Voglio che si parli di queste cose. Spesso la gente giudica senza sapere, come se chi subisce una violenza in qualche modo se la sia andata a cercare. Non è così e a tutti può capitare di precipitare in questo baratro». Andrea, nome di fantasia, cinquant’anni, è seduto ad un tavolino di un bar del centro. Sua moglie, 47 anni, nel 2021 ha denunciato di essere stata vittima di una violenza sessuale, compiuta – secondo l’accusa – sul luogo di lavoro (un ristorante pizzeria) dal suo capo. Il processo non si è ancora svolto, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio; ma non è questo il tema. Andrea parla d’altro: la vita stravolta di una famiglia normale – padre, madre, figli – che in un attimo si trovano in un vortice che tutto colpisce e distrugge.

«Qualche mese fa avevo preparato una lettera per raccontare questa devastazione – dice il marito, che parla con tono calmo, abbozzando un sorriso che si intuisce forzato – poi ho cancellato tutto. Fino a quando ho letto l’articolo sul vostro giornale... ho capito che si parlava di noi». E la mente è tornata a quella sera, una spinta che questa volta ha portato alla voglia di raccontare il travaglio interiore che queste vicende portano non solo alla vittima ma anche a chi le sta accanto. «Anche i famigliari e i parenti di chi subisce una violenza avrebbero bisogno di un supporto psicologico – dice il marito – Io non avevo strumenti per aiutare mia moglie, non sapevo come e cosa fare. Ad aiutarmi è stato solo un maresciallo dei carabinieri, quello da cui andammo per la denuncia. Fu un angelo e lo è ancora oggi».

«All’inizio tutto andò bene, era contenta. Poi le cose cambiarono. Non tornava più a casa contenta. Era quasi spaventata. Le dissi di smettere. Accettò, dicendomi che una volta concluso il contratto non avrebbe più proseguito»

Ma riavvolgiamo il nastro, partendo dall’inizio, da prima della violenza. «Ho una attività commerciale ma dopo il Covid eravamo un po’ in difficoltà – racconta – Per questo mia moglie disse che si sarebbe cercata un lavoro, per aiutare la famiglia. All’inizio tutto andò bene, era contenta. Poi però le cose cambiarono quando cambiò il gestore. Non tornava più a casa contenta. Era quasi spaventata. Le dissi di smettere. Accettò, dicendomi che una volta concluso il contratto non avrebbe più proseguito».

Poi, inevitabilmente, si arriva alla sera della violenza sessuale denunciata in procura e che ha portato il pm a chiedere il rinvio a giudizio. «Io l’aspettavo fuori dal locale – dice – Ero andato a prenderla in macchina, come facevo tutte le sere. Lei sapeva che l’aspettavo nel parcheggio. Quando si spensero le luci non uscì. Passò una pattuglia dei carabinieri, fui tentato di fermarli per chiedere aiuto, poi però la vidi...».

«Quando mi raccontò cos’aveva subito, non capii più niente, persi il contatto con la realtà, come se tutto fosse crollato attorno. Andammo subito dai carabinieri, trovando quell’angelo di maresciallo che ci aiutò»

«Capii che qualcosa non andava – prosegue il marito – aveva il volto stravolto. Chiesi se cosa fosse accaduto, mi rispose che erano “cose del lavoro”, ma non parlava. Il giorno dopo non si alzò. Io scesi per lavorare. Poco dopo mi raggiunse in lacrime dicendo che non voleva più andare al lavoro, raccontandomi l’abuso». Secondo l’ipotesi di reato la donna, mentre sistemava le ultime cose, era stata sorpresa e violentata dal capo. La domanda è banale, quasi da vergognarsi a porla: come si reagisce ad una notizia del genere? «Non capii più niente, persi il contatto con la realtà, come se tutto fosse crollato attorno. Andammo subito dai carabinieri, trovando quell’angelo di maresciallo che ci aiutò. Parlò a lungo con mia moglie. Poi andammo in ospedale per le visite».

«Non sapevo cosa fare – prosegue il marito – C’era mia moglie da aiutare, c’erano i figli su cui non volevo far ricadere la cosa... Da questo tunnel non si esce, o quantomeno si fa molta fatica».

La risposta è una sola: amore

La soluzione trovata ha una sola parola che la definisce: amore. «Stavo accanto a mia moglie, parlavamo tanto e di tutto, uscivamo anche solo per un caffè, facevo di tutto per non farle pensare a quello che le era capitato. Lei non voleva più fare niente ma io la forzavo. Ritrovò un posto di lavoro e quello fu positivo. “Se lavoro penso ad altro”, mi disse. Stavo sveglio di notte per vederla dormire».

Devastata, inutile nasconderlo, ne uscì anche la sfera intima: «Avevo paura anche solo a toccarla – dice – Mi sembrava di risvegliarle i ricordi. Lei mi diceva che mi sentiva distante, ma era per questo motivo... Solo adesso, due anni dopo, con fatica stiamo ricostruendo la nostra vita». E all’orizzonte si profila il processo di cui si attende solo la data: «Mi ha già detto che non verrà. Mia moglie va ancora dallo psicologo, va agli incontri di una associazione per vittime di traumi come questi. Per ricostruire serve tanto tempo. Ma anche gli altri parenti dovrebbero essere aiutati perché finiscono tutti con l’essere travolti da quanto successo».

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