Morta in immersione a soli 35 anni
La Cassazione: il processo è da rifare

Paola Nardini era annegata nel settembre 2013 in fondo a viale Geno - I giudici romani hanno annullato la sentenza di non colpevolezza per i due sub che erano con lei

I giudici della Cassazione riaprono il processo per la morte di Paola Nardini, la sub annegata al largo di viale Geno durante un’immersione assieme a due amici. Con un colpo di scena, l’ultima tappa per ribaltare la duplice sentenza di assoluzione per i sub che erano sott’acqua assieme a Paola il giorno della tragedia, la Suprema corte ha accolto il ricorso della Procura generale di Milano e dell’avvocato della mamma di Paola e annullato la sentenza di non colpevolezza, rimandando gli atti alla corte d’Appello per un nuovo processo.

Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per comprendere se ci troviamo di fronte a un ribaltamento totale delle conclusioni dei giudici di merito, che potrebbe tradursi in una condanna per uno o entrambi gli imputati, oppure se la Cassazione ha evidenziato possibili contraddizioni nella motivazione di assoluzione che non implicano, necessariamente, un cambio sostanziale della sentenza finale.

Di certo si tratta di un colpo per Walter Sordelli, 60 anni, l’ex istruttore che tentò di riportare Paola in superficie senza riuscirci, salvo poi rinunciare per sempre alle immersioni, da quel giorno, all’attività di subacqueo, e per Daniele Gandola, 61 anni, pure lui comasco, terzo partecipante a quella immersione.

Assolti sia in primo che in secondo grado, i due sub (assistiti dagli avvocati Piermario Vimercati, Stefano Fagetti e Angelo Giuliano) dovranno ricomparire davanti a una corte per difendersi dall’accusa di omicidio colposo.

Chi ha sempre sperato nella riapertura del processo è invece Daniela Moralli, la madre di Paola. Due anni fa, in un’intervista a La Provincia, disse: «Non ho mai saputo cosa sia davvero successo quel giorno. Ora chiedo, se non giustizia, almeno la verità».

«I genitori e le sorelle di Paola - commenta l’avvocato di parte civile, Edoardo Pacia - non hanno mai cercato vendetta giudiziaria e tanto meno combattono per motivi economici. Hanno sempre avuto, invece, la radicata e ferma convinzione che ci fossero precise responsabilità da parte dei compagni di immersione».

«Voglio che ammettano di aver superato i limiti e che mi spieghino esattamente cos’è successo là sotto - ebbe modo di dire mamma Daniela dopo la seconda sentenza di assoluzione - Non voglio soldi. Non voglio vendetta. Ma che non mi abbiano mai voluto dire cosa sia davvero accaduto quel giorno, questo non lo accetto».

I giudici di Milano che mandarono assolti i due imputati confermando la sentenza dei colleghi di Como, scrissero che i due sub «hanno cercato certamente di fare il possibile per salvare la vita della loro compagna d’immersione, sia pure con le difficoltà e gli errori di valutazione che possono essere stati commessi».

«La Cassazione - conclude l’avvocato Pacia - ha riconosciuto espressamente i seri limiti giuridici e di tenuta logica delle sentenze avverse. Bisognerà leggere le motivazioni, ma questo segnale non può che essere valutato positivamente».

Eppure non è detto che la decisione della Cassazione possa davvero tradursi in un nuovo processo. La prossima estate, infatti, scatterà la prescrizione. Se la corte d’Appello non farà in fretta a fissare una nuova data, forse la verità giudiziaria sulla morte di Paola resterà sconosciuta.

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