Movida, il sindaco non chiude nulla
«Basta il rispetto delle regole»

Landriscina: «L’uso della forza? Non basterebbe una pattuglia in ogni piazza» - «Serve un’azione di sensibilizzazione porta a porta, in ogni associazione, in ogni famiglia»

Como

Mentre da nord a sud i sindaci di mezza Italia minacciano nuove chiusure per contrastare il rebound post isolamento - che finora si è concretizzato in una gran corsa all’apericena -, Mario Landriscina dice che a Como non si chiuderà nulla.

Questo è il succo di una lunga lettera diffusa nel tardo pomeriggio di ieri per il tramite dell’Ufficio stampa di Palazzo, una lettera in cui Landriscina si cimenta in una lunga disamina, anche sociologica (le relazioni tecnologiche, scrive in sintesi, non possono sostituire il contatto umano) con accenni lirici («guai a sederci e piangere sconfortati restando immobili allo scorrere della vita»), del prolungato lockdown e della conseguente voglia di ritorno alla normalità, arrivando a teorizzare una sorta di diffusione militante delle buone regole da applicarsi in epoca di contagio.

Il tema, ovviamente, è quella del ritorno della movida, quello di piazza Volta e di viale Geno l’una e l’altro intasati di giovani e meno giovani, quello della voglia di tornare alla normalità le cui manifestazioni si sono registrate in quest’ultimo fin settimana: «Era prevedibile e persino auspicabile che, dopo settimane di chiusura nelle proprie abitazioni, le persone, tutte e non solo i giovani, avessero voglia e bisogno di riprendere i propri spazi e le proprie relazioni».

«In questi mesi - si legge nella lettera del sindaco - la scienza ha camminato offrendo sempre maggiori certezze. Ciò detto la partita “pubblica” si gioca su poche regole in ambito di prevenzione: mascherine facciali, distanziamento sociale, guanti, igiene delle mani, protezione degli occhi… Provvedimenti semplici, indispensabili per non ripiombare nel baratro. Sarebbe fatale sul piano sociale ed economico. Però pare che cose vadano nel senso sbagliato (...) Tanti invocano interventi robusti, propugnando l’uso della forza, l’applicazione di severe sanzioni economiche e non solo. Non basterebbe una pattuglia ad ogni angolo di strada, tre o più in ogni piazza. E che dire delle nostre spiagge sul lago e persino dei sentieri in montagna? Ma si potrà mai presidiare tutti luoghi, tutti i locali aperti al pubblico? E se le imprudenze si verificassero persino nelle abitazioni private, dove si potrebbero consumare contagi a piene mani?».

«Assistiamo ai più diversi provvedimenti che Sindaci, molto arrabbiati e delusi, adottano unilateralmente: chiudo la piazza, chiudo i locali, chiudo prima in termini orari, chiudo l’asporto, chiudo… gli occhi. Al fine di tutelare la salute pubblica sono pronto a farlo anche io. Personalmente però penso che bisognerebbe tentare di “aprire” il pensiero delle persone, con un’azione persino “porta a porta”, dove ognuno almeno provasse a far ragionare l’altro sui rischi che si corrono. In ogni famiglia, in ogni Associazione, in ogni bar, in ogni circostanza. Con pazienza, con tenacia, con volontà persuasiva, pur correndo il rischio di prendersi qualche “vaffa…”. Solo così si può pensare di camminare verso una società matura, consapevole perché informata, e che quindi sceglie di adottare comportamenti adeguati. Non perché ha paura o solo quando è costretta, ma perché è responsabile». Infine la citazione, non proprio letterale (la frase, un po’ diversa, è di John Fitzgerald Kennedy): «Un grande statista teorizzava: non chiederti cosa può fare lo Stato per te, ma chiediti cosa puoi fare tu per lo Stato! Mi piacerebbe verificarne la declinazione sul campo».

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