Nel comasco mancano 110 medici, ma dopo il bando ne arrivano appena sette

L’emergenza Al bando di Ats avevano risposto in trenta, ma la maggior parte alla fine ha rinunciato. Fra i nuovi alcuni arrivano dalle corsie del Sant’Anna: «Ma ormai i ritmi sono pesanti in tutti i settori»

Nella nostra provincia gli ambulatori dei medici di famiglia vuoti sono 110, più di un terzo del totale. All’ultimo bando pubblicato a marzo dall’Ats per assumere nuovi camici bianchi si sono presentati trenta candidati, sia su Como che su Varese. In sette hanno accettato una posizione in uno dei Comuni comaschi rimasti scoperti (Albiolo, Erba, Bregnano, Fino Mornasco, Fenegrò più due a Montano). I più invece non si sono nemmeno presentati alla convocazione finale.

Una sanità allo sbando

Dunque anche questo ennesimo bando non cambia lo scenario. Le nuove leve sono troppo poche, la formazione in passato non è stata programmata a dovere. Mancano incentivi, secondo i medici la professione e sempre meno accattivante e sempre più soffocata dalla burocrazia.

Peraltro, volendo proprio fare le pulci al risultato di quest’ultimo bando, anche i sette nuovi medici pronti a entrare in ambulatorio troppo nuovi non sono. Un medico è in realtà già in forza in provincia ed ha chiesto un trasferimento interno, in un paese vicino. Un’altra dottoressa è già al lavoro come provvisoria ed ora ha ottenuto una posizione stabile. In più due medici che hanno accettato la posizione sono due specialisti impegnati all’ospedale Sant’Anna nel reparto di Nefrologia.

«È un fenomeno in corso – spiega il primario Gianvincenzo Melfa, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Como – cresce la fuoriuscita dagli ospedali verso la medicina del territorio. A torto gli ambulatori dei medici di famiglia vengono considerati più tranquilli, e i reparti più stressanti. Ma i ritmi sono da tempo pesanti in tutti i settori. Piuttosto il sistema si è fatto trovare impreparato di fronte a qualcosa di molto prevedibile. Era ampiamente noto che in questi anni avremmo registrato una gobba pensionistica, con un calo sensibile dei medici al lavoro».

Fuga di camici bianchi in Svizzera

La flessione demografica si somma sul confine alla fuga di molti specialisti e infermieri verso la Svizzera, dove la paga è il triplo. Anche la Fondazione Gimbe lancia l’allarme. Sul territorio lombardo il 65,4% dei medici di famiglia supera il tetto massimo dei 1500 assistiti. Due su tre, mentre la media nazionale arriva al 42,1%. A Como ci sono picchi oltre i 2mila pazienti per ogni dottore. Tra il 2019 e il 2021 i medici di famiglia lombardi sono calati del 5,5%, entro il 2025 altri 135 medici andranno in pensione. Servirebbero un migliaio di camici bianchi in più per tenere testa al giusto numero di pazienti.

«L’allarme sulla carenza dei medici di medicina generale – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – ha ragioni diverse: mancata programmazione, pensionamenti anticipati, medici con numeri esorbitanti di assistiti e desertificazione nelle aree disagiate che finiscono per comportare l’impossibilità di trovare un medico nelle vicinanze del domicilio, con conseguenti disagi e rischi per la salute».

C’è anche una quota di medici che in realtà ha pochi assistiti. «La progressiva carenza – conclude Cartabellotta – consegue sia ad errori di programmazione per garantire il ricambio generazionale, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e finanziamento delle borse di studio, sia a politiche sindacali non sempre lineari. Ed è evidente che le soluzioni tampone attuate dal governo (l’innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni) e dalle Regioni (l’aumento del massimale) servono solo a nascondere la polvere sotto il tappeto».

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