«Noi infermieri, pochi e sottopagati. Ecco perché la laurea perde iscritti»

Il caso La mancanza di personale è una delle grandi emergenze della sanità non solo comasca. Due testimonianze: «Negli anni ’90 avevamo incentivi, vitto e alloggio pagato. Ora più nulla»

Mancano infermieri: «Un tempo eravamo più valorizzati».

A Como c’è un vuoto cospicuo di infermieri, ne servirebbero non meno di 300 in più, purtroppo il corso di laurea perde iscritti mentre aumentano pensionamenti e trasferimenti all’estero. Del resto in Svizzera la paga è più del doppio.

Il nodo degli stipendi

«Fino agli anni Novanta avevamo un bonus e il vitto e l’alloggio pagato – racconta Salvatore Sciascia, navigato infermiere dell’Asst Lariana – arrivavano giovani da fuori Regione, io stesso sono arrivato dalla Sicilia. Poi poco a poco gli incentivi sono stati cancellati, il collegio nel San Martino è stato chiuso, il corso di formazione è diventato una laurea impegnativa e gli ospedali si sono trasformati in aziende, dai ritmi sempre più serrati. Siamo rimasti in pochi e la fatica aumenta. Ci sono reparti in difficoltà, con pazienti complessi e con vuoti d’organico. E dopo trent’anni lo stipendio arriva a 1.800 euro solo con i festivi e le notti. Sono 34mila euro all’anno lordi contro gli 80mila, i 100mila che offrono in Svizzera». Sciascia oltre frontiera non ci vuole però andare, dice di aver già fatto la vita dell’emigrato una volta. «Non è facile, gli immigrati non vengono trattati bene – spiega ancora – Ma fossi giovane guarderei anche io alla Germania, alla Norvegia o all’Arabia».

In questo momento storico tanti Paesi cercano infermieri. Quel che i professionisti sanitari chiedono qui, come incentivo a restare, è una maggiore libertà di lavorare anche nel privato. Ottenere quindi il permesso dalle aziende sanitarie pubbliche di svolgere oltre alla consueta mansione in ospedale anche delle prestazioni presso ambulatori convenzionati, Rsa e laboratori privati.

«Da quando lavoro al Sant’Anna avrò salutato almeno cento colleghi che hanno fatto le valigie verso la Svizzera - dice Cristian Petrozziello, lui pure infermiere dell’Asst Lariana –. E onestamente se dal Ticino mi arrivasse un’offerta sarei molto tentato. Per il momento cerco ancora di cambiare qui le cose. Per i nostri figli, per un’assistenza sanitaria offerta a tutti gratuitamente, per un domani quando toccherà a noi cinquantenni fare i pazienti. In ospedale però si fa fatica, non si può nascondere la verità. Siamo sottodimensionati, tanti presidi lavorano con il 60%, massimo 70% degli organici. Il carico aumenta a dismisura, con in aggiunta dei pazienti sempre più anziani, più critici e lungodegenti».

La laurea? Un ripiego

Il personale sanitario lamenta la difficoltà a farsi riconoscere ferie, permessi, cambi d’orario, richieste quotidiane a volte non accettate. Tutto perché manca il capitale umano, ma anche il capitale economico. «Senza fare paragoni con gli altri Stati i nostri stipendi italiani sono sempre gli stessi – dice ancora Petrozziello – anche se siamo stati definiti eroi il Covid non ci ha dato una mano, anzi è stato un bel pugno in faccia. Così facendo negli ultimi anni la laurea in infermieristica è diventata un ripiego, le nuove leve guardano ad altre posizioni, difficile biasimare questi giovani».

© RIPRODUZIONE RISERVATA