Parte il corso di Infermieristica, ma rimane vuoto il 35% dei posti

L’allarme Assunzione certa dopo la laurea, ma le iscrizioni continuano a registrare un calo - La storica caposala: «Professionalità e stipendio poco valorizzati, è visto come un lavoro umile»

Sono iniziate ieri le lezioni del corso di laurea in infermieristica, in classe più di un banco su tre era vuoto.

Ci si attende qualche studente in più dagli scorrimenti delle graduatorie, nella speranza che qualche matricola esclusa da altri corsi sanitari a numero chiuso voglia fare l’infermiere. Nonostante un tasso d’occupazione certificato in uscita vicino al 99%, il più delle volte già dal giorno dopo la tesi, il corso di laurea di Como ha il 35% dei posti non assegnati. È da qualche anno che infermieristica soffre una grave carenza delle vocazioni, l’anno scorso prima degli scorrimenti mancava quasi la metà degli studenti. Paradossalmente nel 2022 si è deciso, a livello nazionale, di aumentare i posti, il corso di Como è passato da 75 matricole a cento.

Le cose a Busto e Varese vanno un poco meglio, in quelle sedi l’Insubria per infermieristica deve ancora assegnare 53 posti sui 249 complessivi. Il calo delle vocazioni si vede di riflesso negli ospedali e negli ambulatori. Il solo settore pubblico nel Comasco avrebbe bisogno di circa 250 infermieri in più per garantire tutti i servizi, con un organico ottimale. E questo nonostante un grande sforzo in termini di concorsi e bandi da parte dell’Asst Lariana.

Se si aggiungono gli ospedali accreditati, dal Valduce a Villa Aprica, le Rsa che da anni denunciano un grande vuoto impossibile da colmare, si arriva a oltre 500 infermieri mancanti. La stima in Lombardia nel pubblico arriva a 3.600 infermieri, così ha di recente confermato la comasca Barbara Mangiacavalli, presidente nazionale della Federazione degli ordini delle professioni infermieristiche. E sono 3mila gli infermieri che fanno le valigie dalla nostra Regione ogni anno, diretti all’estero o verso il privato, circa 150 dal nostro territorio che sconta la vicinanza con il Ticino.

«Ho fatto l’infermiera per 42 anni e tre mesi – racconta Carmelina Di Lella, storica caposala del Sant’Anna – ed ho amato il mio lavoro. Purtroppo è sempre peggiorato, dagli inizi degli anni Novanta. La preparazione universitaria non è stata valorizzata, così come lo stipendio. Nell’immaginario collettivo resta un lavoro umile e pesante. Ed in effetti turni e notti sono sempre più pressanti, anche per coprire i vuoti d’organico. Altrove, ad esempio in Germania dove lavora mia nipote, l’infermiere è tenuto in maggiore considerazione, ha più responsabilità e ruoli di spicco. Qui no, eppure fa funzionare mezza sanità. L’infermiere è il pilastro degli ospedali di comunità, delle case di comunità e delle cure territoriali».

È appena stato rinnovato il contratto con gli aumenti. «Qualche decina di euro al mese non cambia le cose – ribatte Di Lella – il famoso bonus di confine non è mai arrivat. Arrivano in compenso colleghi dall’Uzbekistan: niente in contrario, ma non sono la soluzione».

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