Prete palestinese ospite a Como: «Il mio popolo a Gaza soffre»

La testimonianza Bloccato in provincia di Como, dove è venuto per una visita, padre Johnny Abu Khalil cerca di tornare a Tel Aviv il prima possibile: «Penso alla mia famiglia a Gerusalemme, ai miei parrocchiani al nord di Israele e agli amici cristiani a Gaza»

«Amore, dignità, pace interiore e del contesto in cui si vive, nella mia terra, la Terra Santa che in questi giorni è una terra di guerra: è questo ciò per cui prego e per cui vi invito a pregare». Sono piene di energia le parole con cui Johnny Abu Khalil, sacerdote palestinese attivo in Galilea, che in questi giorni si trova in provincia di Como, ha parlato delle violenze che stanno flagellando il luogo in cui vive.

Legato alla diocesi di Como da un gemellaggio che lo accompagna fin dagli anni del seminario, anni in cui i suoi studi sono stati sostenuti dalla parrocchia di Camnago Faloppio, dove in questi giorni il sacerdote si trova, in attesa che venga confermato il suo volo di rientro per Tel Aviv.

Nel tempo di attesa ha avuto modo di incontrare anche il vescovo di Como, cardinale Oscar Cantoni. «Mi trovo in Italia perché ho accompagnato il patriarca Pierbattista Pizzaballa a Roma per il suo concistoro. Poi sono venuto qui in visita perché questo territorio mi ha dato molto, ma ora voglio tornare dalla mia famiglia».

La preoccupazione per la famiglia

La madre e i fratelli si trovano nella città vecchia di Gerusalemme dove risiede anche il sacerdote. Tutti, però, sono palestinesi: «Questo è importante da sottolineare così come il motivo per cui il patriarca mi ha mandato ad Haifa, nel nord della Terra Santa: mi ha dato il compito di creare un centro pastorale che possa aiutare famiglie e giovani cristiani palestinesi israeliani. Lì la loro vita non è affatto facile, in quanto non ebrei».

Il suo racconto di quella fetta di mondo che, da sabato mattina, è al centro delle notizie è un racconto affezionato, denso di dolore ma anche di determinazione: «Il mio popolo, i palestinesi, soffre da 75 anni - spiega - e questo non può più essere ignorato. Nella Striscia di Gaza ci sono anche un migliaio di cristiani palestinesi, che convivono in pace e armonia con i loro fratelli musulmani. Ma sono intrappolati in quella striscia di terra, non possono uscire e io stesso, se dovessi metterci piede, resterei prigioniero di una gabbia a cielo aperto».

In questi giorni li ha contattati, così come ha fatto il patriarca, per conoscere le loro condizioni: «I razzi hanno colpito il loro quartiere, un quartiere anche molto bello, così si sono dovuti rifugiare negli spazi delle chiese e delle scuole parrocchiali, aiutati dal parroco. Ma ora mancano cibo e acqua e la situazione è insostenibile». Un quartiere, quello cristiano a Gaza, che non era mai stato colpito prima, in nessuno degli altri scontri e guerre con Israele, dalla violenza e che ora rappresenta per il sacerdote l’emblema di una situazione geopolitica che non può più essere ignorata. «Serve la pace - dice in maniera concisa - Condanno la violenza e allo stesso tempo capisco, proprio perché le conosco, le sofferenze del mio popolo così come quelle dei cristiani palestinesi: una minoranza oppressa in una terra già contesa. È il momento di chiedere la creazione di due Stati, per riconoscere la pari dignità del popolo palestinese e di quello israeliano, perché da entrambe le parti si cessi di uccidere e perché, finalmente, ogni palestinese in Terra Santa possa essere libero».

Ieri sera la veglia a Rebbio

L’aereo diretto a Tel Aviv che porterà il sacerdote a casa sua è previsto per domani mattina, ma, al momento, non c’è per lui alcuna certezza che il rientro sia possibile. Intanto, ieri sera, il sacerdote palestinese ha preso parte a una veglia di preghiera di pace per la Terra Santa organizzata dal Gruppo Turistico Rebbiese, nella chiesa di Rebbio. Ha rivolto ai presenti un appello accorato: «Ascoltate entrambe le parti in causa e, soprattutto, pregate per la pace».

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