Quello che l’epidemia
ci sta insegnando

on ci restano che il coraggio degli uomini di buona volontà e la speranza per uscire da questa preistoria moderna che è la pandemia. Ben vengano, dunque, l’Inno d’Italia risuonato l’altra mattina da tutte le radio del Paese e le tantissime iniziative di volontariato che danno il senso di una comunità che cerca di ritrovare se stessa: un patriottismo spontaneo e amichevole. Un’Italia che amiamo nel segno della fratellanza. L’Inno di Mameli, fra i pochi riti collettivi consentiti e quasi l’estrema risorsa sentimentale dei naufraghi, che a Bergamo viene accompagnato dal più sanguigno “Mola mia”, mentre nella guerra asimmetrica ingaggiata dal coronavirus (un killer apolide, senza volto, che travalica le frontiere), l’epidemia calpesta tragicamente quel Lombardo-Veneto dalle ascendenze risorgimentali.

Segnali incoraggianti il moltiplicarsi dello spendersi collettivo nella crescita di un senso comune alimentato dal valore della sfera pubblica, dal primato dello Stato e dei corpi intermedi della società e dalla solidarietà. Al “distanziamento sociale”, l’imperativo che suona come il discrimine fra la vita e la morte, si contrappone la vicinanza di cuore. Si può essere sorpresi da questa coralità, oppure ritrovarsi confermati da un retroterra culturale e fattivo, parole e azioni, da sempre al lavoro e oggi valorizzato.

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