«La divisa che indosso? In memoria di mia madre, uccisa da sindaca». Qui la video intervista

La storia Massimo Poliseno è neo commissario di polizia a Como. È il figlio di Laura Prati, uccisa in Comune a Cardano al Campo nel 2013

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Un sorriso timido, ma schietto e sincero. Uno di quei sorrisi che risuonano anche nella voce. Che a tratti, però, si incrina, quando il ricordo si fa emozione. Stretto nella sua nuovissima divisa con i gradi di commissario, Massimo Poliseno, 32 anni, entrato in polizia da neppure due settimane e assegnato, come primo in carico, alla Questura di Como, accetta di raccontarsi. E di ricordare. Perché quella divisa, quel sorriso, sono eredità di sua madre, Laura Prati, sindaca di Cardano al Campo uccisa da un agente della polizia locale il 2 luglio di 10 anni fa.

Lei aveva 22 anni, quel martedì...

Quel giorno lo ricordo benissimo. Fu mio zio ad avvertirmi che avevano sparato a mia mamma. Ma mi aveva tranquillizzato: «È cosciente, c’è lì tuo papà e stanno parlando. Ora la portano a Gallarate». Sembrava una situazione sotto controllo e io mi sentivo abbastanza tranquillo. Poi purtroppo, dopo 20 giorni, c’è stata quella complicazione, l’hanno operata ed è entrata in coma. Sono passato da una sensazione di scampato pericolo a una in cui ho capito che ormai era finita.

Lei ha raggiunto sua madre in ospedale quasi subito. Cosa le ha detto?

Per prima cosa mi ha chiesto di portarle una penna, dei fogli, un agenda e un libro: Il buio oltre la siepe. A fine mese aveva organizzato una rassegna letteraria a Cardano ed era già proiettata a quell’evento. Voleva leggere il libro che doveva presentare.

Il libro, alla fine, non è riuscita a leggerlo...

No, ma ricordo che l’ultima notte insieme a lei, quando già ci avevano detto che non c’era più nulla da fare e che il giorno dopo avrebbero staccato i macchinari, io e mio padre finimmo di leggerglielo ad alta voce. Come a dirle: stai tranquilla, quello che hai iniziato lo proseguiremo noi. È stata una promessa che ho fatto a mia mamma e in questi dieci anni penso di averla mantenuta. Anche oggi, con la divisa che indosso.

Quando ha deciso di entrare in polizia?

Una cosa che ho sempre voluto fare, grazie all’esempio di mia madre e di mio padre, anche lui consigliere comunale, era fare un lavoro che mi consentisse di essere utile alle istituzioni e alla collettività. Appena c’è stato il concorso l’ho tentato, ho avuto la fortuna di passarlo, e adesso...

E la la politica, non l’ha contagiata?

In realtà sono anche consigliere comunale, da quattro anni. Ed è un’emozione sedermi nei banchi dove stava mia mamma. Dal giorno dopo questa tragedia, mi sono detto: questo signore, si fa per dire, ha voluto ucciderla per uccidere anche le sue idee, ma io voglio dimostrare che non bastano dei colpi di pistola per uccidere le idee. Fino a quando ci sono persone disposte a portarle avanti, non moriranno. Per questo motivo quattro anni fa ho deciso di candidarmi ed è anche per questo motivo che ho deciso di entrare in polizia... perché mia mamma era sempre dalla parte della legalità e io voglio continuare su quella via.

La sua scelta di entrare in polizia è piaciuta alla famiglia?

Sì, assolutamente. Mia sorella aveva solo 12 anni, quando nostra madre è stata uccisa. . Sia lei che mio padre mi hanno sempre appoggiato: la grande forza nel superare la tragedia che ci ha colpiti l’abbiamo avuta dall’essere molto uniti, molto vicini. Ci siamo fatti forza l’uno con l’altro. E mia sorella ha dimostrato una forza incredibile.

Lei era iscritto all’università, allora?

Si, facevo giurisprudenza alla Statale di Milano. Stavo studiando diritto del lavoro quando le hanno sparato. In quei 20 giorni ho sostenuto l’esame... mi ricordo che appena finito sono andato in ospedale a Varese. Mia mamma era già in uno stato comatoso, comunicava soltanto con gli occhi: due battiti di palpebre per dire no, uno per dire sì. Le ho detto: “Mamma ho preso 30. Sei contenta?”. Lei ha battuto gli occhi una volta.

Quanto le pesa essere costretto, come in questa intervista, a ricordare quella tragedia?

Non pesa ricordare. Magari a volte, rileggere l’articolo o il titolo sul giornale, ti riporta indietro a dieci anni fa e ti fa sentire una responsabilità in più, perché sei il figlio di quella donna ricordata per determinati valori e competenze. E allora capisci che hai l’obbligo di dover fare del tuo meglio.

Com’è stato accolto a Como?

Benissimo. L’ambiente è molto bello.

Non voglio bruciarle eventuali aspirazioni professionali, ma come lo vede il suo futuro in polizia?

Siccome sono davvero alla prima esperienza e devo imparare tutto, andrà bene qualsiasi ufficio il questore vorrà affidarmi.

Lei ha detto che non ci tiene a incontrare l’assassino di sua madre. Ma lei crede nella giustizia riparativa?

Ogni caso è a sé. Nel mio, anche in base a com’è stato portato avanti il processo da chi ha ucciso mia madre e dal suo avvocato, non ho mai visto un cenno di pentimento per quello che ha fatto a lei e a noi. Per cui il desiderio di incontrare questa persona non l’ho mai avuto. Non provo odio, non ho sentimenti di vendetta, ma sono contento che la giustizia, con l’ergastolo, abbia fatto il proprio corso.

Lei ha fatto giurisprudenza. Ma c’è un lato artistico nella famiglia: sua sorella accademia di ballo e sua madre scienze dei beni culturali. Come mai quella scelta?

Prima di diventare sindaca è stata assessore alla cultura e sentiva il bisogno di essere maggiormente competente. Quando era ragazza aveva fatto la scuola di interpreti, ma non valeva come una laurea. Le è rimasto il pallino e quindi si è iscritta a Ferrara. E ha dato anche diversi esami con ottimi risultati. Siccome ho promesso che avrei concluso quello che aveva iniziato, ho preso contatti con l’università cercando di farle ottenere una laurea alla memoria. Mi dicono che la legge non lo consente, ma le hanno dato un attestato di benemerenza agli studi che ci hanno consegnato pochi mesi fa a Ferrara.

Siamo in un periodo storico in cui c’è una grandissima disaffezione alla politica e chi fa politica è considerato male. Sua mamma ha sacrificato la vita, alla politica: cosa si sente di dire agli scettici o ai critici?

Mi è capitato di parlare con amici che tendono a fare di tutta l’erba un fascio e dire “sono tutti ladri, rubano tutti”. Ecco, questo mi lascia amarezza perché io a casa mia ho avuto un esempio completamente diverso. Bisogna sempre saper distinguere e ricordarsi che in tantissimi agiscono nel rispetto della legge e di determinati valori.

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