Rapinato e pugnalato. Ci sono voluti sei anni per fare il processo

In Tribunale Sei gli imputati accusati di rapina e lesioni: uno di loro nel frattempo è sparito. L’aggressione nel 2017in via Milano Alta

Pugnalato alla schiena davanti alla propria abitazione in via Milano alta. Il tutto al termine di una lite i cui motivi non sono ancora noti, rapina (aggravata e in concorso) conclusa con la sottrazione di una collana d’oro che la vittima aveva al collo. La vicenda, che ha come parte lesa un trentenne originario del Pakistan, risale a oltre sei anni fa: al 4 ottobre del 2017, intorno alle 19.45 della sera, per la precisione.

Per quella brutale aggressione finita nel sangue, con una pugnalata alla schiena per fortuna superficiale che tuttavia rese necessario il trasporto in ambulanza all’ospedale Sant’Anna, ieri si è aperto il processo a sei connazionali del ferito che, all’epoca dei fatti, abitavano tutti in un appartamento di via Castellini.

L’indagine era stata condotta dagli uomini della squadra Mobile. La vittima e gli aggressori si conoscevano, ed in più nelle carte di questo fascicolo era finita anche la testimonianza di un amico del ferito che aveva ricostruito la dinamica dell’accoltellamento. I due erano infatti in casa, in via Milano, quando il trentenne ricevette una telefonata che gli chiedeva di scendere un attimo in strada. E qui, poco dopo, per motivi mai del tutto chiariti, andò in scena non solo l’aggressione ma anche il colpo di coltello alla schiena. La vittima fu però in grado di riconoscere coloro che l’avevano colpito, indicando anche l’appartamento dove abitavano. Il sopralluogo compiuto dagli uomini della squadra Mobile non permise però di recuperare né l’arma utilizzata né la collana d’oro che era stata rapinata.

In aula, di fronte al Collegio presieduto da Maria Elisabetta De Benedetto, sono finiti in sei: Farhan Akram (37 anni), Shahzaib Alì (24 anni), Zahid Hassan (32 anni), Muzmil Hussain (27 anni), Ali Sikander (27 anni) e Usman Ali (27 anni) tutti pakistani. Akram (assistito dall’avvocato Fabio Gualdi) ha visto stralciata la propria posizione: non c’è infatti la certezza che abbia mai avuto conoscenza del processo (non è reperibile) ed in questi casi la riforma Cartabia prevede la lettura di una sentenza di non luogo a procedere che rimarrà “sospesa” fino al 2057, data fino a cui sono state prorogate le ricerche. Nel caso non venisse più trovato la sentenza diventerebbe definitiva.

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