Sanità, il 50% dei medici vuole mollare: puntano a un nuovo lavoro o alla Svizzera

Il caso Indagine del sindacato Fadoi su un campione di duemila professioni: «Uno su due è in “burnout”, in questa condizione aumenta il rischio di errori»

La metà dei medici in forze agli ospedali sta pensando di licenziarsi e spera di andare a lavorare in Svizzera.

Secondo Fadoi, la federazione dei medici internisti ospedalieri, il 52% dei medici e il 45% degli infermieri è in burnout. Questi professionisti vivono il loro mestiere in uno stato di stress permanente. Un fatto che rappresenta un rischio per le cure e i trattamenti, si corre un pericolo maggiore di sbagliare. Ma questa fatica altresì spinge i lavoratori della sanità verso altre occupazioni e verso altri lidi. Il 47,4% di questi medici pensa infatti di licenziarsi entro l’anno e lo stesso pensa il 45% degli infermieri. «Lasciando ancora più sguarnita la trincea del pubblico – scrive Fadoi – magari per andare a rinforzare quella del privato o di qualche altro Paese dove le retribuzioni arrivano ad essere anche il doppio». Ed ecco di nuovo la Svizzera, con la fuga che interessa in particolare le province di Como e Varese.

Questo è quanto emerge da una ricerca di Fadoi appena presentata al congresso nazionale, effettuata su un campione significativo di circa 2mila professionisti sanitari.

A cavallo del confine

Tutti pronti a varcare la frontiera?«No – commenta Francesco Dentali, primario della Medicina interna dell’ospedale di Varese dell’Asst Sette Laghi oltre che presidente di Fadoi – ma certo per noi medici di confine il tema è molto più sentito e vicino. Dal 2024 comunque gli accordi sui frontalieri siglati dalle autorità italiane ed elvetiche dovrebbero in parte porre un freno a questa emorragia di personale. La tassazione equiparata dovrebbe trattenere più capitale umano dal nostro lato della frontiera».

In Lombardia si è pensato a un incentivo di confine per i medici, per questa ragione la Regione ha bussato alle porte di Roma. «Ben vengano gli incentivi economici – dice Dentali – a mio parere sarebbe un atto di giustizia. Oltre al trattamento economico però restano da migliorare anche le condizioni lavorative, oggi troppo stressanti e pesanti. La nostra società scientifica guarda in particolare agli internisti presenti nei reparti di medicina, specialisti, con loro infermieri e assistenti, Si tratta di professionisti che sono responsabili della maggior parte dei ricoveri ospedalieri. È un lavoro molto complicato».

Un quadro preoccupante

Appunto, stressante. Il 49,6% del campione indagato da Fadoi dice di essere in bornout, la percentuale sale tra i medici e scende tra gli infermieri. L’incidenza è più del doppio tra le donne, che non riescono a coniugare il lavoro con la vita a casa e i figli.

Stando alla letteratura, operare in queste condizioni porta a commettere in media un errore grave nel 36% del personale in bornout. Conta molto l’età, sotto ai trent’anni nemmeno un sanitario su tre si definisce stressato.

Per i più maturi, allora, tanto vale licenziarsi. «È un pensiero molto comune purtroppo – spiega ancora il primario varesino – per fortuna un numero limitato di colleghi per ora l’ha fatto davvero. Dobbiamo lavorare per porre freno alle uscite e migliorare il nostro sistema sanitario. Al netto dei campanelli d’allarme occorre ricordare che il nostro studio ha rilevato anche come la stragrande maggioranza dei sanitari sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti».

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