Tassa per finanziare la sanità di confine. «Ma non si chieda di più ai frontalieri»

Il caso L’Associazione dei Comuni di frontiera: «Non sono tenuti a versare altri contributi». E spunta un parere del ministero della Salute: «Partecipano già al sistema fiscale nazionale»

La vicenda del prelievo di una quota tra il 3 ed il 6% sul salario netto dei “vecchi” frontalieri, dunque della larghissima parte dei permessi “G” attivi oltreconfine, per finanziare la sanità di confine ha registrato ieri una dura presa di posizione da parte dell’Associazione Italiana Comuni di Frontiera e del suo presidente Massimo Mastromarino. Questo per inciso dopo che il Governo ha sostanzialmente confermato la bontà dell’emendamento votato a corredo della Finanziaria, con il Parlamento che dovrà ora stabilire l’entità finale dell’importo, poi nel concreto gestito da Regione Lombardia per quel che concerne il nostro territorio.

«Siamo dalla parte dei frontalieri e andremo a spiegare perché non sono tenuti a versare ulteriori contributi per l’iscrizione al servizio sanitario nazionale - ha rimarcato Mastromarino -. Già il ministero della Salute era intervenuto con una propria nota esplicativa che di fatto ha posto in essere alcune importanti puntualizzazioni circa l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale dei frontalieri attivi nei Cantoni Ticino, Grigioni e Vallese nonché a favore dei titolari di pensione svizzera maturata nei tre Cantoni citati poc’anzi».

La presa di posizione

Il concetto di fondo è che «in base all’accordo del 1974 ognuno dei tre Cantoni svizzeri versa all’Italia una quota del gettito fiscale compresa tra il 38 ed il 40%, proveniente dall’imposizione a livello federale, cantonale e comunale. Imposizione che vale come compensazione finanziaria per delle spese per i frontalieri che risiedono nel territorio italiano, ma esercitano o hanno esercitato un’attività dipendente presso uno dei tre Cantoni».

Una precisazione importante quella dell’Associazione Italiana Comuni di Frontiera, che di fatto rafforza la principale obiezione all’emendamento finalizzato a finanziare la sanità di confine e cioè che «i frontalieri (il concetto è sempre legato ai lavoratori attivi prima dell’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale, datata 17 luglio, ndr) non devono versare ulteriori contributi per l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale per beneficiare dell’assistenza nei modi e nei limiti previsti dalla legge».

Nodo difficile da sciogliere

Il presidente Mastromarino aggiunge anche un altro punto di rilievo e cioè che «con il nuovo accordo fiscale, tale principio è comunque ribadito e contenuto (e confermato) all’articolo 9 della Legge di ratifica dell’accordo stesso». Per rafforzare questa tesi viene riportato il parere (che risale al 2016) della direzione generale del ministero della Salute, parere che in effetti rimarcava - a precisa domanda - come i frontalieri attivi in Ticino, Grigioni e Vallese (i tre Cantoni che poi in dote portano i preziosi ristorni ai Comuni di confine) non fossero tenuti a versare ulteriori contributi per poter usufruire del servizio sanitario nazionale.

Un bel groviglio normativo, dunque, su cui ora il Parlamento - incamerato il nullaosta della maggioranza - dovrà dare un giudizio definitivo decidendo se approvare o meno questo nuovo balzello.

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