Tessile, che intrecci. I falsi da Como finiti in tutta Italia

L’inchiesta Chi procurava la merce e chi la comprava. Foulard, sciarpe e scarpe rivenduti tra Pavia e Napoli. E la finanza cerca di intercettare i proventi illeciti

Da un lato ci sono le stoffe con i marchi delle più grandi griffe di moda, uscite chissà come senza alcuna autorizzazione da aziende comasche licenziatarie di quelle firme. Dall’altro ambulanti, privati, aziende e laboratori che ricevevano la merce lavorata (illegalmente) per rivenderla. In mezzo una piccola società di confezioni del Canturino e alcune operaie legate a un’altra azienda di confezioni di Villa Guardia dove le stoffe venivano assemblate e cucite, pronte alla vendita.

L’inchiesta sulla presunta associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione di grandi marchi, sulla quale indaga la Procura di Milano con la Guardia di finanza di Como e che sta agitando il mondo del tessile comasco, ha portato alla luce un complicato Risiko popolato da non meno di una ventina di soggetti finiti sotto inchiesta, oltre a un’altra decina di persone sulle quali sono in corso ulteriori accertamenti.

Stando a una prima ricostruzione, che ha permesso alla Procura di procedere a poco meno di una quarantina di perquisizioni nei mesi scorsi, a capo dell’organizzazione vi sarebbero tre persone: un ambulante milanese, una sessantenne di Varese legata al mondo della moda e un terzo uomo misterioso. Epicentro dell’indagine la 2C di Cappelletti Marzio di Cantù, dove nel novembre dello scorso anno gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria di Como hanno fatto irruzione trovando non solo merce interessante per le indagini, ma anche persone disposte a collaborare.

I “fornitori”

La 2C era una sorta di centro di smistamento e di passaggio, un luogo di confezionamento dei prodotti falsificati (almeno stando alle prime ipotesi investigative). E dunque da un lato era la destinataria delle stoffe griffate e delle etichette delle case di moda apposte poi senza alcuna autorizzazione, dall’altro il punto di partenza del prodotto verso il cliente finale.

A monte del giro sono risultati quattro i canali di approvvigionamento, tutti (tranne uno) gestiti da dipendenti delle ditte interessate (che non sono indagate e che potrebbero anche essere parte lesa di questa vicenda): la Tessitura Scotti di Tavernola, l’Achille Pinto di Casnate, la società “Binda” (non identificata, al momento delle perquisizioni, dai finanzieri) per il tramite di due cittadini marocchini residenti a Busto Arsizio e infine un laboratorio di confezioni Paderno Dugnano gestito da un sessantenne di Bregnano.

Oltre alla 2C la merce sarebbe stata confezionata anche presso alcuni dipendenti della Confezioni Emmedue di Villa Guardia.

La catena finale

Più affollato il giro a valle. La merce sarebbe stata acquistata da ambulanti milanesi, piccoli imprenditori della zona di Rimini, società della provincia di Napoli, ditta di confezioni di Pavia, un privato di Modena, alcune società di moda di Casnate, Como.

Da verificare anche il ruolo di un pensionato di San Fermo della Battaglia, ex dipendente di una società di Nola, seguito per giorni dai finanzieri e sorpreso a fare numerose consegne e numerosi ritiri dopo aver avuto contatti con indagati nell’ambito dell’indagine.

Infine la finanza sta cercando anche di risalire al riciclaggio dei proventi illeciti. Allo stato sarebbero emerse due figure, di Paderno e di Verbania, che avrebbero aiutato a far sparire il denaro frutto dell’illecita attività di contraffazione. L’inchiesta prosegue e non sono esclusi sviluppi già entro la fine dell’anno.

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