Gli atenei italiani protestano contro i progetti di cooperazione con Israele: firme anche dall’Insubria

Il caso La lettera aperta inviata aTajani da 2500 accademici chiedeva al ministro di sospendere l’accordo di cooperazione del bando Maeci per il rischio di un cosiddetto “dual use”

Sono cinque le firme legate all’Università dell’Insubria che compaiono nella petizione inoltrata al ministro degli Esteri Antonio Tajani, alla fine di febbraio, sulla cooperazione scientifica tra atenei italiani e israeliani. Le firme sono quelle di Farian Sabahi, all’Insubria ricercatrice senior in Storia Contemporanea, specializzata sull’Iran e lo Yemen, Elena Nalato, dottoranda presso Iuss Pavia in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Insubria, Lia Forti, ricercatrice del dipartimento di biotecnologie e scienze della vita, Andrea Penoni, professore associato del dipartimento di scienze e alta tecnologia, e Federica Piras, dottoranda del dipartimento di diritto, economia e culture.

La lettera aperta chiedeva al ministro la sospensione dell’accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele, nell’ambito del bando Maeci, promosso dal ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per il rischio di “dual use”. Con l’espressione dual use si intende la possibilità che gli esiti delle ricerche condotte con gli atenei israeliani vengano utilizzati non solo in ambito civile ma anche in ambito militare, con chiaro riferimento a quanto sta avvenendo da sei mesi nella Striscia di Gaza, dove Israele sta conducendo una guerra serrata contro Hamas che ha portato alla morte di oltre 33mila palestinesi. La petizione, firmata da 2623 tra docenti, ricercatori e tecnici accademici, tra cui nomi molto noti come quello del fisico Carlo Rovelli, è tornata al centro dell’attenzione per via delle proteste scoppiate all’interno diversi atenei italiani, con l’Università di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa in testa già da metà marzo.

La richiesta fatta al ministro Tajani

Nella lettera inviata a Tajani si fa riferimento non solo all’ordinanza emessa dalla Corte internazionale di giustizia, con cui si ammette il rischio che Israele a Gaza stia commettendo il crimine di genocidio, ma anche una comunicazione arrivata al Parlamento europeo da parte della Federazione internazionale dei diritti umani secondo la quale la fornitura di armi a uno stato sospettato di commettere genocidio potrebbe configurare la complicità nel crimine. «Sosteniamo che il finanziamento (ndr. al bando Maeci per progetti di ricerca industriale, tecnologica e scientifica con Israele) potrebbe essere utilizzato per sviluppare tecnologia dual use, ovvero a impiego sia civile che militare, e che la terza linea di finanziamento delle tecnologie ottiche potrebbe essere utilizzata per sviluppare devices di sorveglianza di ultima generazione, anche a uso bellico» si legge nel documento firmato anche dai cinque accademici dell’Università comasca.

Il punto di vista: «Ricerca scientifica a favore dell’umanità tutta»

Il tema riguarda dunque soprattutto chi opera e fa ricerca in ambito scientifico, per contrastare il rischio che il lavoro accademico possa sfociare in un sostegno alla guerra in corso. «Chi lavora nel mondo della ricerca scientifica è abituato a una ricerca aperta, io sono un fisico delle particelle al Cern dove siedono studiosi di 70 nazionalità diverse - spiega Michela Prest, direttrice del dipartimento di Scienza e alta tecnologia dell’Insubria - Chi fa ricerca di base si preoccupa di farlo a favore dell’umanità, ma i percorsi possono farsi anche molto complicati. Il bando Maeci ha dato vita in passato a importanti e preziose collaborazioni per i nostri studenti e ricercatori, al momento però non mi sembra ci siano progetti attivi con Israele».

Prest conosce bene le difficoltà che sorgono per chi fa ricerca quando le decisioni politiche entrano in gioco: «Quando è scoppiata la guerra tra Ucraina e Russia il Cern ha organizzato delle riunioni molto pesanti. Per la prima volta un Paese, la Russia, è stato dichiarato “non gradito”. Tuttavia, non tutti i colleghi russi che conosco e con cui ho collaborato sono d’accordo con le scelte politiche del loro governo. Tra atenei italiani e Israele il tema è ora se possibile ancora più vasto e complesso».

Sono degli scorsi giorni le notizie per cui alle manifestazioni iniziate a marzo negli atenei di Torino - i firmatari di questo ateneo per quanto riguarda la petizione a Tajani sono ben 234 - e poi della Normale di Pisa - 104 firme - si sono aggiunte quelle della Federico II di Napoli, dove il rettorato è stato occupato da studenti e studentesse per protestare contro gli accordi con Israele. Secondo i collettivi di Napoli il bando Maeci sarebbe infatti «il punto di non ritorno della complicità dell’accademia con il criminale progetto di Netanyahu di cancellazione del popolo palestinese».

All’Insubria nessuna protesta

Ma all’Insubria non tira aria di proteste, a differenza di altri atenei italiani. Lo conferma Giorgio Zamperetti, delegato all’Internazionalizzazione per il polo universitario dell’Insubria: «Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre abbiamo ricevuto dall’ambasciatore israeliano la richiesta di porre attenzione a situazioni di tensione che però non si sono verificate. Gli studenti israeliani sono due e non ci sono stati momenti di protesta».

Anche Zamperetti, come Prest, ha ricordato le esperienze positive che il Maeci ha permesso di vivere a diversi studenti dell’Insubria, con periodi di scambio che si sono svolti perlopiù negli Stati Uniti e in Olanda. «All’interno della Crui (ndr. la Conferenza dei rettori delle università italiane) c’è molto dibattito perché c’è chi sostiene che la politica internazionale non debba interferire con la ricerca. Qui all’Insubria però non è stato approfondito il discorso. Con gli studenti, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre abbiamo tenuto un seminario per illustrare quale fosse la situazione geopolitica tra Israele e la Striscia di Gaza. Ma di base siamo un ateneo molto tranquillo e finora non ci sono state manifestazioni su questo tema».

© RIPRODUZIONE RISERVATA