Vaiolo delle scimmie. Primi 6 casi in provincia di Como

Salute In Lombardia sono 269, 18 in Ats Insubria e da domani in arrivo i primi duemila vaccini specifici. Il medico: «Importante la diagnosi»

Primi sei casi di vaiolo delle scimmie diagnosticati in provincia di Como sul totale dei 269 di tutta la Lombardia. Il dato complessivo relativo all’intera Ats Insubria (che comprende anche la provincia di Varese) è pari a 18. A livello lombardo il 74% delle infezioni, che riguarda principalmente persone di sesso maschile, si registra nella zona di Milano. La fascia di età più colpita è quella tra i 30 e i 39 anni e, vale la pena precisarlo, si tratta nella grande maggioranza dei casi di una malattia con un decorso senza complicazioni.

I ricoveri ospedalieri sono infatti due in tutta la Lombardia e nessuno nel Comasco. «Evidentemente - spiega l’infettivologo Domenico Santoro, già primario al Sant’Anna - viviamo un periodo in cui le infezioni per il 70% si trasmettono dal mondo animale. Per questo tipo di virus l’origine è insita nei roditori, ma il vaiolo delle scimmie si chiama così perché nel 1958 venne isolato in un laboratorio danese in alcune scimmie. Resta, però, un virus dei roditori». E spiega: «Questi virus in qualche modo riescono ad adattarsi al mondo umano e poi diventano più efficienti anche in modo orizzontale, quindi tra persona e persona. Nel passato era già presente in letteratura, la novità sta proprio nella capacità adattarsi all’uomo. La buona notizia è che i sintomi sono abbastanza moderati e lievi». Ma come si fa a capire di avere il virus? «Le segnalazioni gravi sono molto poche - aggiunge - e il decorso della malattia è tranquillo con segni prodromici come febbre, mialgia, linfonodi ingrossati ed entro tre giorni compaiono delle eruzioni maculopapulose. Ed è bene ricordarsi che si tratta di lesioni contagiose». Questo significa che, si ha la malattia, è necessario isolarsi per circa 21 giorni.

In ogni caso non si tratta di una situazione allarmante, seppure le autorità stanno prendendo provvedimenti in termini diagnostici di isolamento e di tracciamento dei contatti. La malattia, spiega il dottor Santoro, «ha una trasmissione omosessuale, tra maschi che hanno più partner, ma il contagio può avvenire anche per contatto con materiale infetto».

Le vaccinazioni

Esiste però già anche il vaccino. Da domani in Lombardia saranno infatti disponibili le prime 2000 dosi del vaccino antivaiolo Jynneos, ma non è raccomandata la vaccinazione per la popolazione generale. Il ministero della Salute ha previsto che si possono vaccinare le categorie ad “alto rischio” come il personale di laboratorio che può essere esposto al virus e «persone gay, transgender, bisessuali che abbiano avuto più partner negli ultimi tre mesi», o partecipato a «incontri sessuali in locali/club/cruising/saune» oppure «avuto un’infezione sessualmente trasmessa nell’ultimo anno».

Vaccino che, chiarisce ulteriormente l’esperto, può anche essere somministrato «entro 4 giorni dall’esposizione ragionevolmente certa al contagio». Interessati dalla vaccinazione anche i medici che lavorano negli ambulatori di Malattie sessualmente trasmissibili e di Malattie infettive, che hanno maggiori potenzialità di avere contatti con il virus. Molto importante, secondo il dottor Santoro, è la diagnosi: «Può assomigliare ad herpes o alla varicella, ecco perché la diagnosi clinica è fondamentale». E chi ha già fatto vaccino antivaiolo può ritenersi più immune? Secondo gli esperti è possibile che le persone che sono state vaccinate contro il vaiolo (abolita in Italia nel 1981) siano a minor rischio di infezione con il monkeypox per la similitudine dei virus.

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