Valduce, viaggio in pronto soccorso
«Qui siamo ritornati in trincea»

Mattinata nel reparto di emergenza dell’ospedale: pazienti di mezza età in aumento- Un malato di Covid: «Questo virus fa paura». Il medico: «Siamo più stanchi, ma più preparati»

«Questo virus del c.... fa paura». Sono ammesse le parolacce, se sei attaccato all’ossigeno su una lettiga del pronto soccorso e ti hanno diagnosticato il Covid? Ovviamente sì. E il paziente, che attende l’esito dell’ennesimo esame nella prima delle quattro sale pronte ad ospitare malati positivi al virus nel reparto di emergenza del Valduce, alla fine non riesce davvero a trattenersi. E chi potrebbe dargli torto? «Non sono uno che si impressiona, a me la vista del sangue non spaventa, ma questo virus... è subdolo. E sì: io ho paura».

Bardati oltre la linea rossa

Ore 11 di venerdì mattina. Un’ordinaria giornata d’emergenza al pronto soccorso dell’ospedale di via Dante. In tre ore sono già arrivati in ambulanza quattro nuovi pazienti. Un quinto arriverà da solo, a piedi, poco dopo mezzogiorno. Complessivamente, a metà mattina, sono 10 i pazienti Covid fermi nel reparto d’emergenza. Oltre il muro, a un paio di porte dalla zona rossa - quella dove ci si aggira bardati come per una guerra batteriologica - altre quindici persone sono state costrette a presentarsi in pronto soccorso per altre patologie.

«Numeri raddoppiati, rispetto all’ordinario» spiega Anna Natalizi, uno dei medici dirigenti nelle reparto d’emergenza. Oltre la linea rossa che delimita la zona “pulita” da quella “sporca” il medico di turno è il dottor Antonello Strada. Con lui le infermiere Romina Iacovone e Alessandra Tedesco (dietro alla tuta bianca ha disegnato un benaugurante cuore) e l’oss Antioco De Murtas. «Sono tutti gentilissimi e disponibilissimi» spiega ancora il paziente, portato in ambulanza a causa dell’abbassamento della saturazione (cioè la capacità respiratoria) la sera precedente. «Anche mia moglie è positiva, ma non ha praticamente nulla. Mio figlio invece è risultato negativo».

Nei corridori del pronto soccorso che si affaccia su via Santo Garovaglio eravamo stati a maggio, negli ultimi giorni dell’emergenza legata alla prima ondata, in un clima ben diverso: allora il peggio era alle spalle, i pazienti erano pochi, l’estate era alle porte.

«Oggi siamo tutti sicuramente più stanchi» commenta il dottor Strada. E se questa verità condivisa con gran parte dei sanitari te la senti dire da un medico che trasmette calma e che appare imperturbabile, la cosa un po’ ti inquieta. «Viene naturale pensare: “io la mia parte l’ho già fatta...”. Ma la verità è che c’è ancora molto da fare. Forse più ancora del marzo scorso». Anche se, ammette il camice bianco del Valduce: «È presto dire quali differenze ci sono rispetto alla prima ondata. Sembra ci siano meno casi gravi, meno complicanze, un’incidenza inferiore della letalità. Ma il trend fa paura e la domanda di tutti è: “cosa succederà domani?”».

Un reparto a fisarmonica

L’oggi, intanto, è una lavagna in continuo e costante aggiornamento. A sinistra i nomi dei dieci pazienti e il letto dove si trovano, a destra i vari parametri: radiografia, tampone, cura, ventilazione. Non mancano le segnalazioni di polmoniti da Covid. Balza subito all’occhio un’età media più bassa dei pazienti: molte le persone di mezza età finite in ospedale.

In una stanza due pazienti più anziani hanno addosso le maschere da sub modificate per poter fornire ossigeno. In quella dov’è anche il sessantenne che non fa mistero di essere arrabbiato con il maledetto virus, altri tre pazienti: nessuno con maschera addosso. «Ieri però - spiega ancora - qui davanti a me c’era una signora che aveva quel casco trasparente in testa per l’ossigeno. A un certo punto hanno detto che non bastava e credo l’abbiano intubatao. Non un bel momento». Nella stessa stanza c’è un signore che tradisce la tensione con un bel sorriso e una discreta dose di fatalismo: «Sono qui perché sono cardiopatico e, si sa, è meglio non rischiare. Sono risultato positivo, ma sto bene. La scocciatura più grande è dover far passare il tempo».

In corridoio il medico è al telefono con i famigliari di uno dei pazienti presenti in pronto soccorso: «Il rapporto con i parenti - commenta - è anche in questa seconda ondata uno degli aspetti più critici. È indispensabile rispondere al bisogno di sapere, perché essere separati dai propri cari è dura sia per chi resta a casa sia per i pazienti».

Rispetto a maggio il pronto soccorso si è allargato ulteriormente. Quella che fino a settembre era la sala d’attesa, è diventata a tutti gli effetti una stanza per ospitare altri malati con i sintomi del Covid. Gli infermieri del triage sono stati costretti a ridurre il loro spazio di manovra: «Proseguiamo un po’ a fisarmonica - conferma ancora Antonello Strada - ci allarghiamo e stringiamo a seconda delle necessità».

Giovedì pomeriggio nell’area coronavirus del pronto soccorso c’erano ben 18 pazienti: difficile immaginare dove siano riusciti a sistemare tutti i pazienti. «Ancora una volta - commenta un po’ sconsolata la dottoressa Anna Natalizi - tutto il problema è stato scaricato sugli ospedali. La pressione è tutta qui e dobbiamo ogni volta trovare il modo di far spazio, perché manca una centrale regionale di coordinamento per i posti disponibili per i malati acuti ma non di rianimazione e finisce che se un paziente arriva in pronto soccorso, è l’ospedale a doversene fare carico». Eppure, rispetto alla primavera scorsa, il clima in pronto soccorso sembra paradossalmente più sereno: «Sembra, perché siamo più preparati e quando una cosa la conosci e la fai spesso ti viene più facile» commenta ancora il Antonello Strada. «Sembra - conferma la dottoressa Natalizia - In realtà da un lato c’è più stanchezza e per alcuni più rassegnazione, dall’altro c’è il timore che il peggio debba ancora arrivare».

Oltre la linea rossa, intanto, ci si prepara per un nuovo tampone. In corridoio spicca una bandiera italiana: «Omaggio di una paziente ricoverata per intossicazione etilica» raccontano le infermiere. Anche i simboli sembrano averci riportato a marzo. La trincea ha riaperto. Ma il tormentone “andrà tutto bene”, a questo giro, non lo dice nessuno.

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